Turismo post-apocalittico.

Non appena giunse in quel posto, Bodom fu pervaso da una strana sensazione: compiuto quel normale passo sentì di essere passato dal mondo concreto e razionale a quello dei sogni, delle illusioni, un universo parallelo, un pianeta plasmato dalle mani di un bambino, più radioso e felice di quello reale.
Lo aveva già intuito quando, dopo aver lasciato in macchina i suoi due compagni Connor e Riddick per esplorare la zona, inalò a pieno l’aria pulita del posto: il cielo era sgombro dalle ceneri nucleari, i fumi grigi delle atomiche che avevano colpito il mondo non coprivano il paese.
Azzurro limpido. E verde floreale. Colori che non vedeva da tempo. Anche quando sbirciò le onorificenze date alla località, “Città d’arte” “Città Regia” “Bandiera verde” “Rotary Club” “Amici della montagna”, sentì che il big bang, la grande apocalisse che aveva distrutto l’intero mondo occidentale, non era di casa. Anzi, a giudicare dalla strada, un gigantesco boulevard che pareva essere l’arteria della piccola city che svettava sui negozi e sulle botteghe disseminate per il corso principale, dai palazzi ben tenuti, dagli alberi rigogliosi sembrava che il posto si fosse fossilizzato direttamente nel ventesimo secolo.
Per un attimo fu ammaliato dalla bellezza del luogo, quasi come un turista post‐apocalittico che rimane a contemplare ciò che i suoi occhi non vedevano da tempo, ricordando, subito dopo, il vero motivo per il quale si trovava là. Doveva trovare una qualsiasi tanica di benzina. Peccato che non c’era nessuno per strada.
Improvvisamente lo pervase una strana sensazione: sentì di essere braccato. La caccia alla quale aveva partecipato per tutto il suo viaggio non era finita.
Ogni passo di Bodom diventava sempre più veloce, la presa del suo fucile più stretta, il sudore che imperlava la sua fronte aumentava a dismisura. Si girò di scatto: dietro di lui un uomo, vestito da pagliaccio, truccato con un sorriso triste, conciato indecentemente. La prima cosa che tentò, invano, di fare fu di assumere l’aspetto saggio di un intellettuale, prendendo la parola.
“Come osi, ribaldo, entrare nella mia pura e casta città?”
Bodom continuò a squadrarlo, colpito dalla teatralità del personaggio, il quale si ostinava ad atteggiarsi filosoficamente.
“Io di questo paese son il potente. Sì, la comando da sempre questa piccola città unica nel suo genere, la più grande e rinomata e conosciuta. Indi, straniero, non sparare. Sappi con chi hai a che fare.”
Leggero inchino, poi lasciò la parola a uno stupito Bodom, intento a fissare il pagliaccio, intenerito dall’aspetto buffo dell’interlocutore, il quale continuò nel suo sproloquio.
“Cosa cerchi? Perché sei qui, straniero? Qual cosa cerchi? Squisiti formaggi? Bronzee campane, tinozze di ferro o fili di rame?”
Lasciando Bodom sul posto, il nuovo arrivato si avvicinò al portone di una casa. Lo aprì mostrando, con sguardo fiero, un barbuto gigante, un grassone pelato che batteva il martello sull’incudine (così, senza aver posto su di essa alcun oggetto da forgiare) all’interno di una bottega. Peccato che non ci fosse nient’altro nella stanza, a parte l’artigiano che si affannava in quell’inutile lavoro.
Bodom glielo fece notare indicando il lavoratore e facendo cenno di no con la testa al clown governatore. Con uno scatto, egli sbatté la porta e prese quell’improvvisato turista per la lunga strada deserta della città, rimasta intatta.
“Pagliaccio?”
“Chiamatemi sindaco, o buon uomo.”
“Cerco semplicemente del carburante per la mia macchina.”
“E allora vi porterò dove si trova carburante, ser…qui siamo sempre gentili con la gente straniera…”
“Grazie…posso sapere come si chiama questo splendido paese?”
“No.”
Bodom fu colpito in pieno da quella risposta, poi chiese con curiosità.
“Perché qui non c’è stato alcun attacco nucleare?”
“Attacco nucleare?” Il pagliaccio pareva molto confuso, come se preso l’avessero preso in contropiede.
“Il Big bang? I bombardamenti, i missili, i razzi?”
“Qui si è sempre vissuto bene.”
“Senza sapere dell’esistenza dell’operazione di distruzione mondiale, che ha messo in ginocchio l’intero mondo occidentale?”
“E che ne so?”
“Non avete visto neanche gli aerei?”
“C’era qualche pirla che per un po’ di tempo si è messo a fare casino, ma per ora tutto tranquillo.”
“Ma siete tagliati fuori dal mondo? Dove stanno le telecomunicazioni? Il digitale, una minima forma di contatto con il mondo esterno? L’adsl, qualsiasi cosa che vi abbia tenuto al corrente dei fatti accaduti nel mondo esterno?” Bodom stava iniziando a scaldarsi.
“L’adsl? Non tocchi quell’argomento. Dal 2004 lo aspettiamo. Giovedì prossimo però, lo portano…” Il pagliaccio‐sindaco si gonfiò di orgoglio. “…grazie a lui…”
“Ma come grazie? Ora l’Adsl è (anzi, era, dato che non esiste più  nulla) obsoleto, superato…e poi chi è quel deficiente che ve l’ha promesso?”
“Lui, il presidente. E non osi minimamente toccarlo.” Nonostante Bodom fosse armato, pareva che il pagliaccio volesse saltargli addosso, ma egli si trattenne, respirando a fatica. Poi puntò il dito verso un palazzo (il municipio forse). Sopra le grandi arcate vi era un gigantesco ritratto di uomo, dalle fattezze molto simili a un suino. Un porchettaro forse?Sì, un porchettaro dall’aria astuta che, da dietro le gigantesche labbra sorridenti e il naso abnorme, lasciava trapelare un’espressione felice, ma furbesca.
“Presidente? Ormai non esiste più un vero governo dopo il Big Bang…”Continuò Bodom.
“Non è vero…il presidente è grande, senza di lui io non sarei il capo di tutto questo…non osate toccare il pre‐si‐den‐te” sillabò il pagliaccio con foga.
“Ok, anche se poteva ricordarselo prima di darvi Adsl!”
Bodom ridacchiò spingendo la canna del fucile contro la schiena del pagliaccio, che aveva assunto ora l’espressione di un bambino triste.
Ad un tratto il pagliaccio sporse l’orecchio verso la strada. Anche Bodom si accorse che non era deserta.
“Nascondiamoci, straniero, subito.”
Rumore di motociclette in arrivo,
“Sono arrivati, dobbiamo celarci alla loro vista.”
E Bodom sapeva quali sventure significassero. Fu preso dal pagliaccio e buttato dietro un fredda panchina di marmo.
In un attimo, arrivarono una decina di moto. I rider che le guidavano indossavano tutti tute nere con alcuni riflessi rosa: nello stesso istante in cui frenarono, derapando rumorosamente, i dieci centauri scesero dai loro bolidi e si tolsero all’unisono i loro caschi (su ognuno di essi vi era la scritta, DE PUTA MADRE 69).
Se non fosse stato per le fattezze dei volti, sembravano tutti fatti a stampo.
“Che cazzo sono?”
Il pagliaccio tirò una sberla sulla nuca scoperta di Bodom.
Tutti i nuovi arrivati avevano uno sguardo perso nel vuoto, piercing sul naso, capelli tinti di viola, leggero trucco sul volto, orecchino a brillantino. Erano adolescenti, adolescenti del ventunesimo secolo, una razza che si dava per estinta. Bodom fu esterrefatto davanti a quella visione. Quello che pareva il capo si mise davanti agli altri nove.
“Loro sono il nostro futuro.”Bisbigliò il pagliaccio a Bodom, che guardava sempre più stranito la scena.
“DUX MEA LUX” Gridò il capo.
Con la mano destra alzata, gli altri nove salutarono l’immagine del presidente. Poi presero delle spranghe attaccate alle loro moto.
“Chi sono ‘sti coglioni?” Bodom iniziava a preoccuparsi.
“Le nostre speranze, il destino di questo piccolo paese, i nostri figli, i baldi, onesti e attivi giovani della città. Loro che continuano a far navigare questa città nell’oro.”
Un rumore di vetri rotti. Poi il pagliaccio rise.
“Vedi quel bel giovanotto?” Il sindaco‐clown indicò con il mento un ragazzone alto e goffo, che con una spranga aveva scheggiato una vetrina di un negozio vuoto. Intorno a lui tutti gli altri esultavano felici. “E’ mio figlio, il nostro primogenito.”
“Perché fanno così?”
“Il presidente combatte il crimine!”
“Ovvero?”
“Gli immigrati: i cinesi, i marocchini, gli slavi, i rumeni, i comunisti, i francesi e gli americani. I nostri giovani ci proteggono dalle loro minacce.”
“Ma se il paese è deserto…”
“Sti francesi sanno come nascondersi.”
Ad un tratto tutti i giovani si stesero a terra.
“Gliel’abbiamo fatta pagare a quei bastardi.” Urlò affannato il figlio del capo, che si stava appena sparando una meritata siga con gli altri compagni.
“Ora andiamo tutti in palestra a far a gara a chi alza di più.”
I dieci ragazzi si alzarono, corsero verso le proprie moto e sfrecciarono via. Bodom rimase impietrito. Intanto il pagliaccio si era alzato da sotto la panchina.
“E loro sarebbero il vostro futuro?”
“Ma certo. Abbiamo insegnato loro i valori cristiani e morali, li abbiamo sempre mandati a catechismo, e con questi valori devono andare avanti nella vita per far rinascere questa terra, già grande di suo, ma piccola di popolazione.”
I due si avviarono, chi fiero di sé, chi completamente spaesato. Nonostante il posto fosse splendido, la gente, poca, stupida, disonesta e meschina rovinava quell’oasi nel nulla. Dopo un po’ arrivarono di fronte a un gigantesco capannone: bianco, titanico, a ridosso di una collina, una struttura barocca con archi, rosoni, guglie, un po’ gotica, un po’ romanica, un po’ rinascimentale, un po’ di tutto (In parole spicce, non si capiva nulla della tipologia della struttura. Il pagliaccio esortò Bodom ad entrare subito dentro la struttura mastodontica.
Un uomo all’entrata, barbuto e muscoloso, capelli corti e grigi ma sguardo poco furbo, vestiva con camice… aprì loro calorosamente la porta…
“Cos’è questo, un ospedale?”
“Aspetti, straniero.”
Dopo aver attraversato un lungo corridoio, un infermiere, barbuto e muscoloso, capelli corti e grigi ma sguardo poco furbo, con una camicia verde, iniziò a salutarli calorosamente. Se non fosse stato per gli occhiali spessi, Bodom avrebbe giurato di averlo già visto.
Raggiunsero un’altra sala, dove vi era un medico con il camice bianco, seduto di spalle. A che scopo, però entrare in un ospedale?
“Il presidente ha  salvato dalla distruzione questo fastoso, attrezzato e bell’ambiente. Ammira straniero. E anche il nostro personale. Unico nel suo genere.”
Il medico si girò, barbuto e muscoloso, capelli corti e grigi ma sguardo poco furbo, il camice bianco sembrava che gli volesse sfuggire da un momento all’altro. Se non fosse stato per quello, Bodom avrebbe giurato di averlo già visto.
“Ecco la benzina…”
“In un ospedale” Si scioccò Bodom, prendendo la tanica di benzina semivuota. Mentre usciva dalla stanza notò con la coda dell’occhio una figura. Mostruosa, un fantasma, il volto ricoperto dall’ombra e dall’oscurità dello stanzino. Si bloccò e la squadrò. Il fantasma prese vita e uscì dall’ombra. Un uomo dall’aspetto saggio, canuto, che si muoveva con calma ascetica, sapienza sprizzava dietro gli occhi accesi ancora di azzurro, nonostante l’età che si deduceva dal bianco della lunga barba.
“Chi è lei?”
“Il classico filosofo dell’opposizione.” Rispose il clown al posto dell’uomo. Con una spranga, presa da chissà dove, il pagliaccio colpì il filosofo sulla testa. Egli cadde a terra. Bodom gli si avvicinò ed egli iniziò a vaneggiare.
“Bello il paese?” Il vecchio si fermò per fare una risata da pazzo. “Pagliacci al potere grazie a mafioso porchettari, giovani che sanno come comportarsi, disinformazione, spopolamento, lavori inutili, filosofi all’opposizione che non fanno altro che parlare, come me. Tutto ciò poteva esistere negli anni cinquanta, ma non nel ventunesimo secolo. Il paese è rimasto arretrato, niente è cambiato e tutti se ne sono pian piano andati via. Più gli anni passavano più noi intellettuali ci sentivamo dimenticati, mentre la gente rimasta si riversava dentro questa costruzione. Un bel giorno, il presidente minacciò di chiudere questa struttura, noi ci arrabbiammo, lui ci disse di non arrabbiarsi e che l’avrebbe lasciata aperta ancora…e intanto mentre fuori tutta la città va silenziosamente a rotoli, questo posto sta diventando un semplice magazzino. In compenso, puoi trovarci di tutto. Io ho preso questi due libri”
Il vecchio sfoderò dalla tasca una copia del principe di Machiavelli e una rivista zoopornografica.
A un tratto il pagliaccio saltò addosso all’intellettuale. Bodom si sentiva a disagio. Prese la tanica di benzina e iniziò a scappare.
Mentre fuggiva dall’ospedale‐magazzino, dal paese‐fantasma, dai pazzi che lo abitavano, pensava a come niente di quel posto gli sarebbe rimasto nella mente. Tutto si sarebbe perduto nell’oblio. Forse, si sarebbe ricordato di quella fermata come di una brutta esperienza da turista post‐apocalittico.
Poco male, pensò, mentre si avvicinava alla jeep.