U.S.

Otto e trenta.
Stiamo aspettando.
La quinta di campionato.
Ancora non abbiamo risolto il dramma che si nasconde dentro le nostre azioni.
Se la fisica non è dalla nostra e ci rimanda da una sponda all’altra, la morale è sepolta sopra una strato di gesso.
Come posso contare e non valere, lo sbaglio è nella testa o nel braccio, la virtù innocente ormai era scaduta, rancida di illusioni e sospiri di bravura.
L’ultima steccata.
Quando il cuoio ceruleo si posò sulla morta sfera lattea che distanziava di un diamante dalla vittoria, lo sguardo che opprimente si posava sulla compagna sanguigna, si librò alle luci.
La palla impattò la fulva gemella, e dopo un breve smarrirsi si adagiò sulla verde sponda corta, quasi dove s’incrociava la lunga.
Di contro, l’altra così sollecitata se ne fuggì violenta in contraria rotta e passò per ben tre volte senza cerimonie sulla residenza del re, disperdendo le fondamenta e il fulcro, pensare che solo un alfiere restò saldo, uno più esterno.
Ciò non sembrò impensierire la bionda che dopo la sua corsa violenta e decisa, senza accusar sforzo si ritirò ben volentieri, quasi colta da timidezza dietro la terza sorella; come a dire che se la bianca avesse voluto toccarla di nuovo avrebbe avuto da penare e non poco.