Una ronda non fa Primavera

“Capocchione!”

“Presente!”

“Bellimbusti!”

“Presente!”

“Solimano!”

“Presente!”

“Bravi i miei volontari della sicurezza” – Il felp‐maresciallo Rotondi passò in rivista la sua truppa, con evidente compiacimento.
I militi del servizio ronde per la sicurezza, impettiti nelle loro divise nuove fiammanti, facevano a gara a tenere dentro la pancetta ed esibire sguardi marziali.

“Il vostro turno di guardia inizia alle 9.30, ora locale di Santa Maria di Castello. Cioè adesso! Rompete le righe!”

I tre prestanti italiani corsero verso l’oscuro e pericoloso territorio dei vicoli di Genova. Era venerdì, serata di movida per i locali del centro storico.
Già gruppetti di universitari e sfaccendati di varia estrazione ed età, si aggiravano per le stradine buie e maleodoranti.
Un vento africano, rovente e umido, spazzava la città, illudendo i genovesi in un agognato temporale che rinfrescasse l’agosto metropolitano.

Discendendo per la mattonata che da piazza Sarzano giunge in piazza delle erbe, centro nevralgico della vita alcolica e trasgressiva dei nottambuli genovesi, i tre arditi volontari procedevano con cautela, gli occhi fissi al selciato irrimediabilmente cosparso di eiezioni canine.
I cassonetti della nettezza urbana, emanavano i loro effluvi nauseabondi, come carcasse di zebra nella savana.

“Capocchione” – Sussurrò Solimano – “vedo un assembramento di negri all’angolo. Stanno cercando di mimetizzarsi nell’ombra, ma distinguo fiammelle sospette e mi giunge alle narici un odorino un po’ troppo aromatico”.

“Spacciatori!” – Bellimbusti si erse in tutto il suo metro e sessantacinque, brandendo nella destra lo spray al peperoncino e nella sinistra la micidiale pistola elettrica.

“Bellimbusti! Metti via quella roba, che è illegale. Se ce la beccano altro che ronde, ci portano a noi in questura. Dobbiamo agire come angeli custodi, non come squadristi vecchio stampo”.

Lo slancio di Bellimbusti si mutò in una contrita espressione di vergogna.

“Inoltre” – continuò Capocchione che, per nome e per carisma, era il più autoritario dei tre – “Ho giusto finito la mia scorta di fumo, andiamo a fare un po’ di spesa”

“ma...ma...” – cercò di ribattere Bellimbusti ‐ “ma come...tu? La droga...”

Capocchione e Solimano si guardarono ridendo – “ Seee..see...il cane, il gatto e noi...” – presero il focoso collega per le braccia e lo sospinsero verso il variopinto gruppo di africani.

“Ahò Mohamed! Come butta?!” – interloquì Capocchione scambiandosi uno schioccante “cinque” con un alto e dinoccolato maghrebino.
“Caposcione!” – salutò di rimando – “benvenue, è da un po’ che non ti vedo”

“Ehhh, sai com’è Mohamed, sono molto impegnato, tra le ronde, il banco al mercato, il divorzio, l’amichetta che rompe, non riesco più a rilassarmi.”

I due si presero braccio a spalla e si allontanarono, mentre il resto della squadra vigilante si intratteneva con il folto gruppo di immigrati.

“Bella divisa” – li apostrofò un nerissimo congolese, con chioma rasta e tunicona sgargiante – “sembrate operai dell’autostrada, vi si vede a un chilometro di distanza”

Solimano intanto aspirava come un Folletto le volute di denso fumo che aleggiavano nell’aria. Un altro immigrato, notando lo sforzo eroico, allungò al milite un cannone appena acceso.
Sotto gli occhi atterriti di Bellimbusti, Solimano tirò due lunghe boccate e passò lo spinellone al collega.

“Dai Bellimbusti, fatti due tiri, che la nottata è lunga”

“Ma..ma...Solimano...anche tu...”

“E daje...ma da dove sei uscito? Non lo sai che ormai fumano tutti, preti e poliziotti compresi? E noi che saremmo? I gonzi della città?”

L’ardimentoso vigilante si lasciò convincere e, mentre Capocchione tornava sorridendo a braccetto di Mohamed, diede giù di polmoni, inspirando una bordata di marocchino.
Gli occhi gli si fecero rosso fiamma, e così pure il viso. Per qualche secondo rimase immobile, incurvato sotto la pressione interna, poi con un rumore di lavandino intasato, rigettò in un’unica soluzione, fumo, cena, catarro e forse anche una palla di pelo.
Tutto il gruppo di immigrati e italiani, fece un salto indietro all’unisono, come un passo di danza popolare ben eseguito, sottraendosi alla fontana fisiologica che sgorgava da Bellimbusti.

Riavutosi il coraggioso milite, la ronda potè riprendere, anche se decisamente più dondolante e meno impettita di prima.
I tre cittadini si addentrarono nella crescente folla della movida, con gli occhi semichiusi e la lingua secca come il deserto del Negev.

“Bellimbusti! Urge abbondante bevuta, vai a prendere tre birre!” – Ordinò Capocchione, ormai assurto a Cesare condottiero del coraggioso manipolo.

Il sottoposto si guardò intorno, esitando tra le varie opzioni, sulla piazza si aprivano ben sei locali, tutti affollati e luccicanti e musicati. Optò per il più vicino, constatando che le gambe non sembravano vigorose come al solito.

In attesa degli approvvigionamenti, i due volontari dell’ordine si disimpegnarono dalla folla accalcante, muovendo strategicamente verso una gradinata, di fronte alla pizzeria “Casablanca mon amour”. Lì stavano seduti e acquattati alcuni punkabbestia, presenze ormai tradizionali, coi loro numerosi quadrupedi di razza indefinibile.
Appena Capocchione e Solimano si accostarono alle scale, due dei più grossi animali da compagnia, gli saltarono addosso sbraitando.
I militi si ritrovarono sdraiati sotto alcune decine di chili di carne fremente e sbavante. I loro anarchici padroni si slanciarono per separare uomini e cani e, con gran fatica e urla belluine riuscirono nel salvataggio.

“Disgraziati” – Urlò Capocchione – “bestie del genere vanno tenute al guinzaglio, alla catena, anzi andrebbero terminate!”

“Ah bbello!” – rispose uno dei nomadi metropolitani – “guarda che sti qua erano cani dell’antidroga, li abbiamo barattati da un ispettore della Dia, per un etto di pakistano” – spiegò tra le risate generali – “se vi hanno assalito è che hanno sentito l’odore de robba. Che...c’avete da fumà?”

Mentre il grande Cesare Capocchione ricomponeva l’onorata uniforme, Solimano rimaneva a terra ansante e balbettante per lo spavento.
Fu preso e tirato su, intanto Bellimbusti si precipitava con tre bottiglie di birra gelata, in soccorso dei valorosi compagni.

“Che succede?!” – esclamò – “Questi selvaggi vi hanno assalito? Chiamo rinforzi?”

“Calma Bellimbusti” – Spiegò Capocchione – “Non è successo nulla, solo un malinteso”. E presa una bottiglia se la scolò d’un fiato.
La bevuta si protrasse per buona parte della serata. Bellimbusti fu visto fare la spola tra il bar e la gradinata, come un vivandiere dell’esercito.
Intanto, alla birra generosamente offerta dai ragazzi, si mischiava l’apporto fumereccio di Capocchione & C.

È notte fonda ormai nei caruggi. Il silenzio ha finalmente riconquistato le antiche stradine. Il vento del sud gioca, birichino, con i bicchieri di plastica e le cartacce.
In lontananza si ode echeggiare un vocìo. Dopo pochi secondi sbucano Capocchioni, Bellimbusti e Solimano, schierati, abbracciati, ondulanti e felici :

“Anvediiii...ce sta la rondaaaaa....sta attenta bella biooondaaaaaa!!”

Un fragoroso sciacquìo si riversa, come una cascatella alpina, dall’alto di una finestra, inondando i tre volontari di una miscela maleodorante.

“Miaaaa! Leggèèèreeeee! Sono le cinque del mattinooooo!”