Venerdì 19

Mi sento piccola, indifesa. Accendo la luce, ore sei. Valigia pronta. Documenti sistemati. Abiti firmati: cardigan lavorato all'uncinetto verde scuro, dolcevita fasciante nera, gonna a tubino e leggins. Calzini caldi e stivalata fin sotto al ginocchio. Mi guardo allo specchio, mi spazzolo i capelli, non posso truccarmi né mettermi lo smalto alle unghie. Così ha sentenziato ieri l'infermiera. Niente colazione e via. Salgo in macchina, avvio il motore. Mi tremano le mani. Accendo le luci, allaccio la cintura e vedo il mio ciuffo castano cadermi sulla fronte. Mi sono preparata per una settimana intera e ora ci siamo. Ho respirato a gambe incrociate, ho posizionato pollice e indice a cerchio e ho meditato. Le tecniche di rilassamento dovranno pur funzionare. Si chiama training autogeno. Strada, grigia, asciutta di vento, siepi, giardini, case, spazzini e altre auto, mi chiedo se all'interno c'è almeno qualcuno come me. Le lacrime salgono, arrivano al livello di guardia, socchiudo le palpebre e ricadono. Guido piano, credo che se questo percorso non terminasse mai potrei trascorrere il resto della vita così. Non sarebbe poi tanto male. Niente più di cui occuparsi ma solo un lungo interminabile giro fino allo scadere di tutti i pensieri.  Il semaforo, rosso per fortuna, quindi mi resta ancora qualche secondo per accoccolarmi nell'illusione.
Ora non ho scusanti, devo proprio.
Via ed eccomi nel parcheggio.
Scendo, chiudo. Clic.
Ascensore, primo piano.
Surgery‐day, con 'sta mania dell'english. Chirurgia cavolo!
Persone come me finalmente. "Buongiorno" un filo di voce da me, da loro. Donne sono, come spauriti cuccioli di bosco, ordinate, pulite dentro e fuori, magiche e perfette donne. Mi vedo in loro e loro in me. Siamo ferme. Zitte. Labbra bianche, screpolate e mento all'ingiù.
Insieme ci chiediamo senza dirlo come sia possibile. Che cosa ci facciamo qui, tanto giovani, tanto belle, tanto amate. Eppure.
Abbiamo amato troppo e perciò abbiamo dato la vita adoperando il nostro corpo come un contenitore.
Il contenitore è un poco stanco tutto qui.
Si entra. Sono la prima.
Tolgo i miei abiti e indosso la camicia bianca con i lacci che ti copre minimamente. Sotto non ho nulla, solo io con il mio corpo. Per la prima volta sento di dovermi scusare con lui. Non l'ho mai apprezzato per ciò che è, con le sue forme arrotondate, la sua morbidezza, il suo calore e anche se non gliel'ho mai confessato non lo voglio perdere.
Benvenuto dottore. Mi dici con la tua maniera a modo e ovviamente dandomi del lei che mi sbrighi subito perché poi hai un impegno. Ok, ottimo, quindi ci sarà un dopo, grazie.
Bicchiere con il calmante, lo ingoio.
Mi gira la testa, parecchio. E' quasi allegra la faccenda. Mi trasportano per i corridoi, distinguo luci, camici verdi.
Eccomi, calzo le scarpine trasparenti, arrotolo i capelli e infilo la cuffia, qualcuno mi saluta dice di conoscermi, boh. Sono da un'altra parte. Mi accompagnano, mi stendono, mi coprono, si presentano. Sono buoni e cortesi.
Ago in vena, flebo, misura della pressione e battito cardiaco... tum... tum... tum. E tu dottore che inaspettatamente mi dai un buffetto sulla guancia, che dolce, ti rendi conto che mi fai sorridere in un momento in cui dovrei disperarmi? Solitamente funziona così, ovviamente per me no.
" Ora sentirà un bruciore".
E' vero, il polso è in fiamme.
Sopra di me strani tubi grigi che non c'erano ora appaiono, dritti, lucenti, d'un tratto si piegano, sono gommosi, mi travolgono... poi niente.
"Marina"‐ "sì". Sono ritornata. Rido a denti scoperti, ricordo il buffetto. Ho le braccia e le gambe pesantissime. Sono in reparto come avevi detto tu dottore il giorno prima. L'immagine della mia compagna di stanza attraversa velocemente lo spazio davanti a me, piange e non posso fare niente.
Vorrei dirle che mi dispiace di essere passata prima di lei ma sono anche contenta di aver già fatto.
Dormo e dormo. Non so quando sei tornata Anna, sei inerte e ti guardo il viso, stiamo bene. Le nostre anime hanno viaggiato oggi, non ricordiamo per dove o con chi. Se hanno riso, se hanno pianto. Ora si sono ricongiunte ai nostri corpi, al sicuro.