Appunti di viaggio

Lasciando Bologna, sul treno, mi son seduto al contrario del senso di marcia; non per scelta ma per necessità; avevo di fianco un cinese, di fronte una giovane signora probabilmente sudamericana e tutti gli altri posti erano occupati da slavi col vestito della domenica, che per loro sono magliette e camicie il più variopinte possibile, e pochi, veramente pochi italiani, tra i quali l’immancabile vecchietta altera e un po’ rompiscatole; è sempre così su quel treno; sempre così, almeno sino a Piacenza; è il treno del mare per le genti di quella parte della padana e, finché dura la bella stagione, non resta altro che attendere che si svuoti un poco.
Seduto al contrario, però, non mi era ancora successo di trovarmici.
Là in cima, San Luca che si allontanava da me; per la prima volta ho veramente assaporato la sensazione quasi fisica di “andar via”.
È bastato quel piccolo cambio di prospettiva, l’essere con lo sguardo rivolto al punto di partenza ed è stata piena la certezza del “lasciare”.
Lasciare un posto, una persona, un tempo passato lì.
Dopo, girato nel verso giusto, mi son goduto un tramonto meraviglioso; rosso sulle sagome dei monti là in fondo alla piana, che mi veniva incontro, veloce, come quel treno; quasi una rincorsa, vana, a non far finire questo giorno; correre a ovest, rincorrere il sole; ma inesorabile il treno piegava a sud verso il mare; il mio mare, nero, come la notte che stava arrivando, come solo il mare sa esser nero e blu cupo di notte, nelle notti con poca luna come questa.
Che grande cosa il treno, che gioia viaggiare.
Non c’è dolore nel distacco, sicuro come sono che un altro treno mi riporterà nello stesso posto da cui son partito; non c’è tristezza nell’allontanarmi, perché so di aver lasciato un pezzetto di me lì sotto San Luca, un mio odore, un mio sorriso; quasi un chiodino colorato di quelli che si mettono sulle cartine geografiche, per non perdere la strada, per ricordare un percorso.
Ogni mio viaggio è comunque, e anche, un ritorno.
E il viaggio è tutto mio, solitario, pensieroso, allegro; quasi come se “andare”, di per sé, mi rendesse pienamente padrone di me stesso, libero di offrire un sorriso ad ogni arrivo; perché alla fine del viaggio, comunque, c’è sempre qualcuno che mi attende, che aspetta proprio me, che aspetta questo uomo o questo padre.
Ora, solo ora, scrivendo queste righe, capisco questo pezzo di me.
Bologna ‐ Genova, agosto 2006.