Complimenti a Onorata!

La vita di una civetta non è per niente facile.
Ne sa qualcosa la dottoressa Onorata Cocotte, una delle boscologhe più illustri del mondo. È una civetta molto riservata e di solito non ama le interviste, ma accetta lo stesso di accoglierci
nel suo buco di quercia arredato alla francese e ci offre anche un tè con i biscotti. Appesi ai muri, in cornici di foglie fatte da lei, premi vari conquistati in giro per il mondo.
«Non è sempre stato così,» dice con un velo di malinconia. «Fino a pochi anni fa non ero che una civetta qualsiasi, e, come succede a tutte le civette, la mia compagnia era poco gradita. Sai, non abbiamo una buona fama nel bosco, perché dicono che portiamo sfortuna. Cade un ramo in testa a qualcuno? Colpa della civetta! Alla volpe scappa il pranzo? È stata la civetta! Pensa che ogni volta che uscivo di casa i miei vicini mi cantilenavano questo odiosissimo ritornello:

Non fare il pastrocchio,
civetta del malocchio!

Puoi immaginare che non fossi un uccello molto sorridente. Anzi, lo confesso, ero anche un po’ depressa».
Per fortuna, un bel giorno le capitò di vedere, nel giardino che confinava con il bosco, la statua di gesso di una donna bellissima ed elegante, armata di elmo e lancia e che portava uno scudo in cui campeggiava, in bella mostra, una civetta. Quest’immagine cambiò la sua vita.
«Fu un vero e proprio colpo di fulmine. Andavo a guardarla tutte le mattine, mi faceva sentire decisamente meglio. Finché un giorno domandai al professor Callisto de Gufis, che nel bosco è
considerato un’autorità, chi raffigurasse quella statua così bella. Così seppi che era nientedimeno che Minerva: gli antichi Greci e Romani la veneravano come dea della sapienza e dell’intelligenza. E che, soprattutto, la civetta era il suo simbolo. Caspita, mi dissi, ma allora io sono il simbolo della sapienza! Mi sentii rinata, piena di energie, con una voglia matta di fare onore al mio nome. E fu così che mi iscrissi all’università.»
Un po’ di gatte da pelare, a dire il vero, le incontrò anche lì: di solito ad iscriversi all’università sono soprattutto gufi, comuni e non, allocchi e barbagianni. Tutti maschi, quindi, e notturni per giunta. Il che significa che le lezioni e gli esami si tengono di notte.
«Il problema di questi signori è che loro di giorno non vedono niente e io sì,» ride Onorata. «Ho dovuto stravolgere completamente i miei orari. Per fortuna a me anche un’ora di sonno basta, ma ho perso il conto delle tazze di caffè che mi scolai in quel periodo. Senza contare che tutti i signori che ho nominato sono alti quasi il doppio di me; i miei compagni di corso mi prendevano in giro soprannominandomi “Signorina Ventidue”, i centimetri che misuro, compreso il cappellino».
Comunque sembra averci preso gusto, dal momento che di lauree ne ha prese tre, con centodieci, lode e beccata accademica. Raccontando la notte della sua prima laurea, le si appannano gli occhialini per l’emozione.
«Quella sera i miei vicini di casa mi organizzarono una festa a sorpresa. C’erano proprio tutti, lo sparviero, la ghiandaia, il picchio... Avevano addobbato la casa con palloncini colorati, la tavola era imbandita con tutti i miei piatti preferiti, e attaccato al soffitto, guarda cosa c’era, l’ho conservato...»
E tira fuori dalla cassapanca un grande striscione bianco con su scritto, in lettere di tutti i colori:

Complimenti a Onorata,
la civetta laureata!