il bottone della camicia

L’uomo era fermo nella cornice formata dalla porta della cucina. La fissava irritato. In quei pochi attimi a Viviana riuscì di notare numerosi particolari: era un giovane di circa trent’anni, piuttosto di bell’aspetto. Sulla spalla destra, lasciata scoperta dalla canottiera immacolata che lo sconosciuto indossava, appariva una cicatrice sottile e pallida. L’uomo stringeva tra le mani una camicia e nell’entrare, indicando proprio quell’indumento, aveva urlato:‐” Manca un bottone! Proprio alla migliore delle mie camicie manca un bottone! Tutta colpa del disordine che regna sovrano in questa casa!”‐ Ma adesso, finalmente, taceva.
Viviana lo osservava perplessa, chiedendosi chi fosse e cosa desiderasse da lei. Chissà perché le tornò alla mente il ritornello di una vecchia canzone:‐”Sei Rodolfo? Sei Marcello? Dopo tutto ciò che fu... com’è fatto mio marito io non lo ricordo più.”‐
‐”Viviana, ma ti sei rincretinita? Che hai da guardarmi con quell’aria da babbea?”‐.
Disse l’uomo con rabbia distogliendola dai suoi pensieri. Ma cosa aveva da gridare tanto? Dopo tutto non le era neanche simpatico: la gentilezza non doveva essere il suo forte!
‐”Viviana, vuoi smetterla di fissarmi così?”‐
Aggiunse lo sconosciuto con voce più moderata. Cosa doveva rispondergli? Lei effettivamente si chiamava Viviana... ma non ricordava affatto chi fosse lui.
‐”Non mi ricordo di voi!”‐ Rispose allora con freddezza. Poi aggiunse, in un tentativo di cortesia:‐” Scusatemi, ho un forte male al capo e mi sento un po' stordita... forse se mi dite il vostro cognome, riuscirò a ricordarmi chi siete... ”‐.
Le sembrava di essere stata gentile, ma evidentemente l’uomo non era d’accordo.
_”Se è uno scherzo, guarda che è durato anche troppo! E alla mia camicia migliore manca sempre un bottone!”‐ Gridò.
‐”Vi prego di non urlare. Ho mal di testa, come vi ho già detto! Inoltre la gente che grida mi ha sempre provocato la nausea... ”‐ Puntualizzò la donna.
L’uomo sembrò finalmente comprendere che i suoi modi sgarbati non erano simpatici. Infilò la camicia senza chiudere l’ultimo bottone, (che effettivamente mancava) e uscì dalla cucina mormorando un rauco:‐”Oh Signore!”‐.
Viviana decise di tornare alle sue faccende, ma ad un tratto si rese conto con una punta di panico di non ricordare affatto cosa stesse facendo un momento prima. Anzi, fatto ancora più grave, non le riusciva di ricordare perché si trovasse in quella cucina. La sensazione di smarrimento che la colse la lasciò per un momento come paralizzata, ma dopo alcuni secondi le riuscì a riprendere il controllo dei propri nervi.‐”Si tratta senza dubbio di un’amnesia momentanea, passerà... ”‐ Disse a se stessa con poca convinzione sedendosi poi sulla sedia più vicina perché le mancavano le forze per l’emozione. Proprio in quel momento già così difficile per lei, lo sconosciuto decise di ritornare in cucina. Aveva indossato una giacca e la fissava indeciso. ‐”Viviana, ti senti bene?”_ Le chiese a bassa voce.
‐”Non molto per la verità, ma deve essere colpa del male alla testa... come mai siete ancora qui? Preferirei davvero che tornaste un altro giorno, in questo momento ho tante cose da fare e... ”‐Lasciò la frase a metà in quanto si rese conto in modo evidente che non sapeva affatto quali cose dovesse fare, e quello sconosciuto dall’aria stupida che continuava a fissarla! ‐”Smettetela di guardarmi come fossi un fenomeno da baraccone!”‐ Gli urlò in viso. Per qualche minuto nessuno dei due parlò, poi l’uomo le si avvicinò con cautela, quasi temesse di spaventarla. ‐”Ti ricordi di me?”‐ Le chiese, fissandola negli occhi e tenendola ferma con la stretta delle mani sulle spalle.
‐”No, mi dispiace, ve l’ho già detto! Ho una gran confusione in testa... e poi voi, con tutte quelle urla! Vi giuro che davvero non mi aiutate a ricordare. Entrate nella stanza sventolando una camicia quasi che si trattasse di una bandiera, vi mettete ad urlare qualcosa sui bottini, sul solito disordine... tutto quel gridare mi rende stordita, se tacete è meglio, credete.”‐ Concluse. E lui tacque. Ma con quale espressione sul viso! Era pallido, le faceva persino pena. Ma per quale ragione pretendeva che lei dovesse sapere per forza chi era? Non si possono ricordare tutti gli uomini che s’incontrano!
‐”Vestiti, che usciamo.”‐ Viviana, nel sentirlo di nuovo parlare ritornò bruscamente alla realtà. Cosa voleva quell’uomo? Voleva che si cambiasse d’abito ed uscisse con lui? ‐”Perché dovrei uscire con voi?”‐ Chiese ad alta voce. A questa semplice domanda lui sembrò traballare come sotto una forte botta sul capo. Impallidì ancora di più, (ammesso che fosse possibile...) e poi si diresse verso il fornello. Era di spalle ma Viviana intuì che stava versando del caffè dalla macchinetta nella tazzina. Poi intuì che lo bevve: amaro. ‐”Che gusti!”‐ Pensò tra se con un sorrisino interiore. Ma ecco che all’improvviso quel sorriso le sbocciò sulle labbra e divenne in pochi secondi una vera e propria risata. Irrefrenabile. le sembrava tutto così buffo! E che faccia aveva ora quell’uomo! Come la guardava! Ma che ridere! E rideva difatti, con molta energia.
Splaff!
Lo schiaffo la raggiunse in pieno viso, scaraventandola un metro più in là. Si resse in piedi a stento.  Così, all’improvviso, le parve che niente più fosse capace di farla ridere. Non aveva proprio più voglia di ridere. L’uomo le si avvicinò lentamente e l’abbracciò con grande tenerezza. Che strano tipo! Prima la prendeva a schiaffi e poi...
all’improvviso le prese una gran voglia di piangere. Non l’aveva neanche pensato che già lo stava facendo. Piangeva. A singhiozzi, a lacrimoni, come quando era piccola e si chiudeva in bagno per piangere abbracciata all’asciugamano. Piangere così le aveva sempre fatto bene, perché poi si guardava allo specchio e vedendosi tutta rossa e gonfia per le lacrime si scuoteva. Era diventata brutta! Il dolore la rendeva brutta e allora non valeva la pena di soffrire. ‐”Dov’è uno specchio?”‐ Chiese all’improvviso all’uomo che ancora le carezzava il capo. ‐”Lo specchio?”‐ Chiese lui di rimando, sorpreso. ‐”Si, si! Uno specchio! Devo guardarmi!”‐ Aggiunse lei . L’uomo la prese per mano e la condusse davanti alla specchiera della camera da letto. Lei si osservò per qualche lungo minuto con interesse quasi professionale. Non era poi tanto brutta! In quel momento, nel guardare la superficie dello specchio notò l’immagine dell’uomo alle sue spalle, che ancora le teneva una mano con sguardo affettuoso. Era tanto triste in volto, povero Marco! ‐”Marco?”‐ Disse ad alta voce, fissandolo come ipnotizzata. ‐”Si tesoro, sono io.”‐ Rispose lui sorridendo. ‐”Ma a questa camicia manca un bottone!”‐ Disse allora Viviana fissando l’orrendo filo bianco cui non era attaccato nulla. ‐”Che vuoi che sia un bottone?”‐ Chiese lui continuando a fissarla in uno strano modo. ‐”Non ti arrabbiare! Lo metto subito... ho avuto tante cose da fare... ”‐ Continuò lei. ‐”Non fa nulla ti dico”‐ Insistette lui, stringendola fra le braccia.‐ “Non fa niente?”‐ Disse lei, tirando un po' su col naso come faceva da bambina. ‐”No, tesoro, niente niente niente... e adesso vestiti che ti porto fuori”‐ “Per andare dove? Non vai a lavorare, oggi?”‐ “Oggi no.”‐ Le rispose lui sempre con quell’aria smarrita. ‐ “Come ti senti?”‐ Le chiese poi, fissandola negli occhi. ‐”Bene!”‐ Rispose lei. Poi si allontanò per andare a vestirsi.