Il generale

Senti, vieni più vicino, non avere paura.
Ascolta.
Ti voglio dire la mia stanchezza.
Sono inquadrato in un reggimento di cui conosco solo le spalle davanti a me ed i calci dietro di me.
Ho pensato: un giorno il generale passerà in rivista.
Un giorno, anche da lontano, lo vedrò.
Ho visto giorni passare, settimane e mesi e anni passare.
Io aspetto: ma sono sempre più stanco.
Non posso riposare, non posso perdere mai di vista le spalle davanti a me e dietro sempre devo avere un occhio attento ai calci.
Ho cercato alla mia destra.
Ho cercato alla mia sinistra.
Mezze facce, ho visto.
Ho cercato di parlare, durante la marcia.
Solo una risposta, ho avuto: taci.
Così continuo ad andare avanti.
E sono vecchio, ormai, sono stanco.
A volte penso, forse ho sbagliato a scegliere questa strada. Ma io mi chiedo: l'ho scelta veramente?
Cosa ho scelto, io, se mi sono subito trovato preso fra queste due righe di spalle davanti, di calci dietro e marciare.
E marciare.
Io non so.
Ma stasera vorrei tanto uscire da questa fila eterna e sedermi in un angolo e non pensare.
Ti chiederai perché non ho ancora fatto niente, perché ho tirato avanti fino adesso, perché non mi sono mosso prima, perché non ho preso una decisione, una qualunque...
Sai, io speravo.
Speravo sempre che un giorno o l'altro avrei visto il mio generale.
Anche da lontano, sai, non ho pretese, ma un giorno o l'altro, io speravo.
Adesso?
Ma non so, non so più; ho tanta amarezza dentro che stasera mi sentirei di piangere come un bambino.
Perché ti racconto queste cose?
Non saprei, forse perché non ti conosco, perché ti ho visto in disparte, perché ti ho visto di fronte e tu mi hai guardato in faccia.
Aspettavi me?
Sì, mio generale, in capo al mondo, dietro di te.