La favola di Allorà

Si viveva felici in quel regno.
Proprio, proprio, proprio, felici.
Meraviglie naturali ed architettoniche assortite e persone soddisfatte e.
E bambini coinvolti in mille e mille, giochi da genitori dolcissimi e premurosi.
E tutto filava liscio e retto insomma e l'attività da svolgere per mantenere splendido il mondo da sogno vigente, sia quelle pratiche che quelle morali e politiche, sembravano giustamente distribuite rispetto alle caratteristiche singole di ogni abitante.
Cioè il ciabattino faceva scarpe perché teneva nel cuore rendere comodi e protetti i piedi dei suoi compaesani e la fioraia vendeva fiori in quanto, pari a loro, di pulito profumava.
E fu così. E fu così che un caro giorno ebbe modo di nascere Allorà, figlia del re e della regina e discendente diretta di grandi avventurieri degni d'entrare nel mito.
Quelli, per intenderci, per cui era un divertimento catturare un drago ed ammaestrarlo in modo i nipoti potessero cavalcarlo.
E crebbe, di conseguenza, la piccola creatura come dire sull'ali dell'entusiasmo e divenne, da grande, una splendida dimostrazione di quanto il destino a volte sia più che predestinato.
Nel suo cuore regnava infatti l'onore dei giusti.
Nella sua mente una sorgente cristallina sgorgava puliti pensieri e la sua bellezza. La sua bellezza proprio non era paragonabile a nessun'altra.
Ed inoltre studiava ed apprendeva con golosità.
Aveva grande curiosità e rispetto verso il mondo animale e volle imparare a curare i germogli e le piante del giardino dimostrando enorme sensibilità.
Tutto meraviglioso ergo diremo, ma disdetta nel mentre seguiva le sue faccende intanto cantava.
Cantava.
Cantava.
Cantava e tutto questo improvvisamente crollava.
Crollava sotto l'oppressione della sua voce da clava.
Cantava ed ogni vita malvolentieri la sopportava.
Cantava ed il buonumore nel meraviglioso palazzo che abitava correva. Correva a nascondersi in cantina precipitandosi giù per la scala.
Cantava e la gente con cotone e cera le orecchie si tappava.
E gli animali rabbiosi dai lati della bocca emettevano bava.
Ed il re e la consorte s'interrogavano sul come rimediare o in alternativa, sul nome del luminare che la doveva operare.
Aveva un difetto Allorà.
Un difetto personalmente non considerato.
Tanto in armonia si sentiva con quello che incontrava.
Tanto le piaceva il radioso la vita le passava, che le sembrava molto naturale, in ogni momento, nel suo modo preferito la felicità dispiegare e.
E tutto il possibile perciò a maggior ragione disturbava, se non che il popolo a mormorare fitto incominciava e la tranquillità normale del reame, sempre maggiormente, sulle spine stazionava.
E quindi per rimediare e fare conoscere diverse forme di canto, furono ingaggiati al caso ed alla bisogna e di conseguenza, maestri giapponesi di canto zen e monaci chiamati dal Tibet muniti di corde vocali al lievito.
E specialisti, erboristi, guaritori e fattucchieri portarono le loro arti.
E venne il sovrano dei pesci magici, bensì gli caddero presto le branchie ed udite udite perfino le streghe ed i maghi dovettero inchinarsi di fronte alla situazione in cui ella stava.
Di fronte a quanto la sua voce orribilmente ripugnava.
Allora di nuovo fu così, a causa di tutto questo intendiamo, che il re una sera disperato chiese aiuto al gatto meravigliato, il quale a sua volta l'indirizzò dall'asina doppio strato, la quale, manco fosse niente, presentò, con sorriso sbottonato, un sontuoso principe ed il suo inconfondibile stile per nulla annacquato.
‐Vero! Me sbadato, sempre l'amore può dare una mano‐ pensò allettato il sovrano.
‐Non so s'è mai servito per correggere un difetto villano quantunque, considerato non costa niente, proviamo, proviamo, proviamo‐ e condusse dunque il giovane alla festa di corte con un suo bagaglio strano.
Non di meno sussultò subito, vedendo un sorriso cancellare ogni titubanza, allorché lui udì quel canto disumano, ch'ella nemmeno quella sera era riuscita a rendere meno menagramo.
Quella malefica malattia vocale che strisciava l'aria con l'incedere d'uragano.
Quella stessa pessima melodia che, assai sorprendentemente, risultava invece nelle sue orecchie complemento, intonato e vincente, al produrre suoni del suo violino fremente.
E fu con tale preambolo che veloce strumento ed archetto esibì dal contenitore in un momento.
Poi richiamò l'attenzione della principessa e non appena lei zittì, si lanciò in una sviolinata stridente, vergognosa e maleducata per. Per in seguito avventurarsi s'una nenia.
Una lunga stancante, debilitante e tediosa nenia, che tutti sbadigliava ed addormentava man mano sviluppava.
E lui suonava, suonava, suonava, sperando lei, di canto, coinvolta l'accompagnasse e non si fermava, non si fermava, non si fermava e lo stupore disgustato dei presenti, ancora svegli, contemporaneamente montava, montava, montava e. E ‐non ti sposerò mai‐ urlò sfinita ad un certo punto Allorà ‐se. Se quel coso nel mio regno porterai‐ e.
E dopo correndo pianse disperata fin sul grembo della mamma perché la difendesse da quel suono mostruoso che, a suo avviso, malissimo s'adattava al suo cantare voglioso.
‐Io ho un talento e lo dispiego a mio piacimento con sentimento‐ ribattè il principe offeso ‐tuttavia. Tuttavia siete bella madamigella.
Molto, molto, molto, bella e graziosa ed il mio cuore già freme per voi.
E se mi concedete il permesso chiederò al sire la vostra mano‐.
‐Sì!
Sì!
Sì!
Non ho mai visto un principe migliore di voi‐ rispose la principessa ‐ma. Ma come fare?
Come fare con le nostre incomprensioni musicali?
Come unire uno strumento ed una voce distanti mille anni, non piccoli istanti?‐.
‐Basta poco!
Basta poco‐ urlò. Urlò prepotentemente il buffone di corte, forse dagli ultimi avvenimenti contrariato e certamente esponendo scarsa riverenza.
Al che tutti lo guardarono interrogativi in modo da fargli aggiungere ‐basta. Basta rinunciare per solenne promessa matrimoniale‐.
‐Rinunciare a cosa?‐.
Chiese all'unisono la curiosità di tutti.
‐A cantare ed a suonare‐ rimpallò lui ‐che tanto. Che tanto nel regno ci sono, lo stesso, numerose altre attività appetitose da frequentare‐.
Ed i respiri dei presenti rimasero al ciò sospesi, sospesi, sospesi, finché ‐io.
Io al mio amore una rinuncia dallo spirito nobile la posso dedicare‐ si sentì dalla bocca dell'aristocratico levare.
Cosicché Allorà, praticamente già sciolta, promettendo non avrebbe mai più cantato, spaventando addirittura il mare, emise un ultimo terribile acuto e dopo andò via tutta agitata che bisognava iniziare i preparativi.
Che si doveva sposare e.
Ed il re nel frattempo, in compagnia del gatto meravigliato e dell'asina doppio strato, si prese bonariamente a braccetto il giullare e gli disse ‐tu sei un gran furbone che sa approfittare della situazione eppure. Eppure, te ne prego, tieni bene a mente sul serio una rinuncia personale può far riflettere positivamente un reame.
Anzi talvolta è giusto la chiave per riprendere sulla corretta via a camminare.
E questo in qualcuna delle tue canzoni d'intrattenimento lo dovresti ricordare.
Difatti mostrando eccellente e distinta buona volontà tutti lo possono fare per risolvere una, pessima e malevola, situazione generale o personale‐ ed infine.
Infine contento e dal disagio liberato prese la penna e mise il punto finale che racchiude ogni favola nella nella sua birba morale.
Ah!
Ed ovviamente.
Ovviamente dopo vissero tutti felici e con intenti.