LA FORZA DELL’ACCOGLIENZA

Chiara e Giuseppe, fratello e sorella, ragazzi normali in un mondo diverso. Chiara è vitale ed estroversa, Giuseppe poco combattivo. Lei studia e lui lavora nella grande azienda di famiglia, vivono ignari di quanto accade intorno protetti dagli affetti della loro famiglia e chiusi in un paese piccolo e bigotto. Sfuggono i problemi dei loro coetanei e della società in cui crescono. Manca ai nostri protagonisti la capacità di lottare dei loro genitori e accettano passivamente il mondo come gli si presenta e gli si impone. I due fratelli sono esattamente il contrario del padre, Mario, uomo molto noto in paese per la ricchezza e la vocazione al dominio.
Giuseppe conosce Maria, giovanissima commessa appena diplomata, allegra, energica e ottimista. Tra i due nasce una storia d’amore. L’amore tra Giuseppe e Maria non resiste però alle differenze sociali e culturali; Giuseppe cerca invano il consenso paterno e fugge da Maria quando questo consenso non arriva. Maria fugge, invece, dalla mortificazione. Il paese è piccolo e non le va di essere additata come quella “mollata”. Con pochi soldi nella tasca e uno zainetto, appena maggiorenne, Maria lascia la propria casa e quel paese che ormai le sta troppo stretto. Gli inizi sono duri e vivere arrangiandosi, in certi momenti, le sembra una mortificazione peggiore di quello che si era lasciata alle spalle. Ma la ruota gira e le speranze non vanno mai perse. Nella grande città, trova quasi subito lavoro come badante presso una coppia sposata da 50 anni e senza figli. Un lavoro “da straniera” che le italiane non accettano più. E proprio l’umiltà, accompagnata dalla vitalità, l’onestà e la dedizione di Maria conquistano i due anziani. Nasce un affetto inaspettato, da chi tutto sommato non le doveva moralmente nulla. La ragazza ha la possibilità di studiare. I risultati non tardano ad arrivare; laurea in Medicina prima e Specializzazione in Ostetricia e Ginecologia poi.
Chiara aveva chiuso una relazione affettiva in maniera piuttosto rapida, rendendosi conto che lui non era affidabile e soprattutto era un prevaricatore, come suo padre. Aveva deciso con consapevolezza e convinzione; quando poco dopo si era accorta di essere incinta, non aveva tentennato: la gravidanza era un motivo in più per non riaprire quella relazione. Il suo problema era se tenere il figlio oppure no. Si era laureata in Giurisprudenza, senza particolare passione, quasi per inerzia, per vivere tranquilla e non affrontare quei genitori che non le avrebbero dato pace; a dicembre aveva superato l'esame di avvocato e a luglio era rimasta incinta. Quando cominciava ad avere un po' di autonomia, anche economica, si era ritrovata incinta. Questo figlio le faceva provare un forte senso di deprivazione. La consapevolezza che l’avrebbe dovuto allevare da sola accresceva enormemente la sua angoscia. Ma ciò che più di tutto la terrorizzava era l’incapacità di affrontare Mario, suo padre. Aveva tenuto segreta ai suoi genitori la relazione con un avvocato divorziato, padre di due figli e ora si ritrovava in questa situazione. In fondo si era convinta di non avere scelta; mancavano i presupposti e non era il momento giusto per avere un figlio. Aveva mentito a tutti dicendo che andava via per una vacanza e invece, a Milano, si era rivolta ad un consultorio per capire come procedere all'interruzione di gravidanza. Il destino, a volte, gioca strani tiri e lì aveva incontrato la ginecologa: Maria. Erano passati più di dieci anni dall’ultima volta che si erano viste ma quella presenza l’aveva commossa e le aveva allentato quel senso di solitudine che l’attanagliava ormai da due mesi. L’amore è distruttore, pensava Maria, guardando il viso mesto di Chiara; il ricordo della sua passione, senza speranza, per Giuseppe faceva ancora male. Quell’incontro aveva riaperto la ferita. Aveva sofferto terribilmente, ma si era ripresa in tempo e aveva giurato a se stessa di evitare per il futuro di cedere al sentimento. Le vicende di queste due donne si incrociano sullo sfondo di un Paese che, in un momento duro quanto mai, soffre di un’atmosfera di sfiducia sociale che non permette di sentirsi accolti e, soprattutto, liberi di programmare il proprio destino. La precarietà di oggi è quasi peggio delle catene di ieri. Un’insicurezza a cui tanti, troppi, reagiscono con la violenza verso se stessi e verso gli altri, fino a volte a violare la vita stessa. La nostra storia però vuole insegnare che le cose possono andare in maniera diversa.
Chiara scrive una lettera a suo padre che sorprende Maria. Il racconto della storia di Maria, una che ce l’ha fatta, le ha fatto comprendere che tutti possiamo farcela e, in ogni caso, abbiamo il dovere di provarci. Maria, in fondo, è apparentemente sola ma è sicura e felice ugualmente, perché ha costruito la propria libertà e la gioia nella riconoscenza delle tante ragazze che incontra giornalmente nel suo cammino. La mitezza di chi non ha ceduto alla rabbia quando si è sentita mortificata e violentata insegna a Chiara che anche lei ce la può fare.
Chiara è ognuno di noi quando travisiamo l’idea di felicità e non ci guardiamo intorno per cogliere ciò che di buono il mondo ci offre. Chiara non sa ancora se terrà o no il bambino, ma adesso realmente sceglierà con libertà. E’ determinata a usare le armi dell’amore, sopportare il dolore, controllare la rabbia, rispettare la dignità umana.
Olimpia Improta