La mia vacanza speciale

Sento il fruscio di foglie smosse dal vento, o forse sono le ondine laggiù che solleticano i ciottoli a riva, no forse no, è il merletto che rifila l'ombrellone declinato ad essere lambito dal soffio tenero del pomeriggio. La brezza mi accarezza e rende il mio oblio un dolce sonno rem. Il suono lontano di una campana segna le ore, le conto, voglio svegliarmi, andare a riva, lasciare la pelle alle carezze del mare, al tocco della sabbia rovente, al velluto di questo cielo che mi copre di melodie. Voglio destarmi senza dissipare la beatitudine di questo momento, sfiorare con lo sguardo il benessere che mi sta cullando. Le palpebre sollevano il mondo astante, scivolano sulle percezioni e si richiudono. La bolla si ricompone e torno nella beatitudine, per un istante, uno solo, il tempo che la mente sovrasti la sopramente e stracci ogni percezione, strusciandola nel senso dell'udito.

Come uno scampanio urgente e molesto, saturo di suoni violenti, le fauci della realtà azzannano la mia beatitudine.

Apro gli occhi.
Il fruscio delicato del ventilatore si spalma nell'eco della stanza, le luci del giorno si affievoliscono. Di là dalla finestra i suoni attutiti della città di agosto: sonnolenta e vuota. È quasi sera, attorno a me la mia casa e le mie cose, boccette e compresse in pila sul tavolo in attesa delle prossime dosi. Il dolore lancinante è in fase di remissione, si risveglierà pigramente fra qualche ora, poi si stenderà, aprirà la diga e percuoterà pelli di tamburi assordanti fino al mio sfinimento. Mi collasserà di nuovo, di nuovo scivolerò nell'oblio e forse, forse sentirò ancora il fruscio di vento e di onde, beatificare questa mia vacanza speciale.