Morpheus

Un insopportabile trillo rimbalza sulle pareti della camera da letto. Trillo trillo fa rima con armadillo ma non risultano esserci animali simili nell’appartamento, forse sotto il letto, portato da quel maledetto tipo strano che lavora come corriere e che ha la pessima abitudine di entrare in casa come fosse la sua e che cr…  Trillo, trillo, doppio trillo, come " sveglia che è ora di alzarsi " ed egli si sveglia, sbarra gli occhi e vede la stanza da letto quasi come gli sembrava di averla lasciata la sera prima a parte lui stesso nel letto con il pigiama odoroso e lo sguardo afoso , la moquette chiazzata di misteriosi liquidi maleodoranti dove immancabilmente ci piazza giusto in mezzo un assonnato piede assieme ad un’imprecazione impastata da una lingua che urla il bisogno di mentolo. Il lavoro. L’immagine del posto di lavoro ghigliottina la materia cerebrale squarciando i pensieri permeati dal torpore, l’ansia dell’orario da rispettare scuote la larva facendole chiedere a se stessa quanti minuti è stata lì a pensare al trillo, all’armadillo e al tipo che lo ha portato. E’ solo un minuto reale che diventano venti se dilatati dal sonno e dal debito che esso perennemente contrae con l’essere umano in oggetto il quale, cercando di lavarsi il piede che fallace cadde nella chiazza misteriosa sulla moquette, perde l’equilibrio fra water e bidet rovinando in maniera assai scomposta fra i due mostri bianchi dalle zanne argentate che ripetutamente lo attaccano e lo mordono senza alcuna misericordia. Poi il cesso come una giostra, smette di girare. Visto da terra esso regala nuovi odori e prospettive. Gli occhi si socchiudono bramando concentrazione. Occorre capire quali dolori siano da sgranchimento e quali da azzannamento per fugare le preoccupazioni riguardo a gravi danni fisici e quindi compromettenti la tabella di avvicinamento al posto di lavoro. Fortunatamente le belve sono state clementi ed ultimamente risparmiano le loro vittime (salvo colpirle quando meno se lo aspettano con improvvisi getti d’acqua bollente su parti corporee poco propense a marcate escursioni termiche). Ora egli è diventato un tricheco che guarda il suo riflesso nello specchio illuminato da un alone simile ad un aureola appannata tipo icona russa che gli cinge tutto il capo. Egli strizza gli occhi e l’aureola lampeggia fra nitidezza umana e opacità tricheca. Ora il pinnipede cerca di afferrare lo spazzolino mentre nel riflesso dello specchio il tricheco aureolato, che ora sta al di qua cercando di acchiappare il bruschino da denti, si è trasformato in un umano dall’aspetto orribile il quale brandisce una brusca setolosa o qualcosa di simile. Urge un intervento programmatico il quale stabilisca le priorità necessarie per raggiungere al più presto la lucidità di pensiero e l’abbandono quanto meno temporaneo della nebbia sonnolenta che avvolge l’interno del cranio. Le zanne del tricheco e la loro pulizia sono fra le ultime cose utili per raggiungere tale scopo e quindi lo spazzolino viene abbandonato in favore dell’orinata scaccia ansia. L’animale‐uomo spesso crogiolatosi nelle sue virtù, dimentica che l’esperienza è la base e la chiave per non commettere errori già commessi in passato soprattutto in condizioni di estrema sonnolenza. Egli cala il pantalone pregustando il rilassamento psico‐fisico che consegue l’orinata mattutina ma la pelle prepuziale traditrice, raggrinzitasi diabolicamente attorno al membro ed alla sua punta più estrema, devia drasticamente il caldo getto in spruzzi irregolari ed asimmetrici i quali irrorano i dintorni, e nulla può il rapido tentativo di porvi rimedio se non quello di peggiorare la situazione generale, del pigiama, e degli stessi dintorni.
Ora, il primo pensiero è il pentimento quasi religioso nella sua profondità e convinzione. Il pentimento al quale segue la promessa sincera ed il giuramento di fedeltà in favore delle ore grandi a discapito delle ore piccole. Domani però. Sempre domani. La barbonesca condizione di un essere umano con le braghe calate di fronte ad una tazza del water, lordo della sua stessa orina, genera il pentimento ed il desiderio dell’autopurificazione dal sonno cronico, l’espiazione dei propri sonnolenti peccati, il pagamento dei propri debiti nei confronti del materasso e di tutte le sue molle. ‐ "Prometto. Domani, anzi stasera, dopo cena. Sicuro. Appena finito di cenare, a letto presto. Certe umiliazioni non dovranno più ripetersi, ne va della propria dignità ". A questo punto cambiano ancora le priorità, la doccia sembra essere l’unico mezzo idoneo per raggiungere la normalità. Pestando in una pozzangheretta di orina con il piede sano, quello che si era salvato dalla precedente chiazza misteriosa sulla moquette, l’anfibio raggiunge il lavabo con lo specchio dove poco prima un tricheco dignitoso cercava di lavarsi le zanne, prima ancora che ad uno stupido essere umano venisse in mente di sovvertire l’ordine naturale degli eventi e la cronologia delle priorità.
L’orologio da polso giace lì ai piedi dello specchio, ed è proprio lì che le pinne del mammifero guidano il suo corpo per cercare di scoprire il minutaggio occorso ad una persona per perdere la propria autostima. Rapidi calcoli mentali per quanto possibile nella loro vaga precisione, consegnano al display virtuale della sua calcolatrice cerebrale, un limitato tempo entro il quale fare la doccia oppure rinunciarvi, a patto che non vi siano intoppi ed imprevisti superiori al minuto o due, e che le procedure siano svolte con meccanica celerità e precisione. La decisione va presa nel giro di pochi secondi ed è in questi momenti che emerge l’uomo di carattere, l’uomo che sa affrontare i problemi della vita o che sa prendere le decisioni difficili anche a scapito di altri ma comunque sia, le decisioni giuste. Quando nella vita si è di fronte ad un bivio ed una scelta deve essere fatta, l’uomo vero emerge senza cadere nel panico come invece il nostro puzzone fa, pensando a quanti preziosi secondi sta perdendo per prendere una decisione che il suo capo ufficio avrebbe già preso da chissà quanti secondi e non per niente è il suo capo ufficio. Dopo un dilatato ed interminabile lasso di tempo scandito da passi e passetti fra doccia‐lavabo‐bidet in una specie di tango scomposto, il generale Custer con pinne da foca ma andatura da tricheco, opta per la rapida doccia e deciso vi si avvia. Ed è proprio dopo il primissimo getto d’acqua accuratamente studiato con sforzo sovrumano affinché esca ad una temperatura il più vicino possibile a quella corporea, che la suoneria del cellulare, scaricata con avidità dalla rete e ostentata con superbia alle più disparate persone, eccheggia di là, nella camera da letto trasformandosi improvvisamente in un odioso suono polifonico costato esageratamente caro, orpello adolescenziale da sostituire appena possibile con qualche monofonico squillo da uomo medio. Le priorità per l’ennesima volta si rimescolano, trascinate dall’odiosa allegra melodia che perfora l’occipitale del bipede bagnato nella doccia. Il cellulare ed il suo richiamo è sempre, in ogni caso ed in ogni situazione della vita, la priorità massima, l’icona da venerare, l’oggetto che comanda, l’apparecchio che può generare cambiamenti vitali nell’ordine interno, esterno e globale delle persone. Il cellulare è il destino stesso che però giunge anticipatamente e senza pietà a svelare i propri misteri. Quindi, al suono del telefonino, ogni cosa, qualsiasi cosa va abbandonata in favore di esso e delle sue incontestabili verità. Ora quindi, abbiamo un essere barcollante nella nebbia che avvolge il suo mondo ogni mattina, bagnato in quanto anfibio, il quale cerca di uscire indenne da un cesso piastrellato e disseminato di trappole di ogni genere, pozze di orina , mostri bianchi con denti aguzzi e polifemici occhi che lo fissano insistentemente. Il tappeto della stanza da letto diventa l’oasi ed il cellulare il pozzo d’acqua dove il viandante assetato cerca sollievo in un deserto di infide e umide piastrelle. Il telefono è lì, dove l’ha sempre lasciato, ammesso che lo abbia lasciato sempre nello stesso posto, infatti non è così, e questa cortina di sonnolenza che genera improvvise vampate d’ansia fa temere che dopo agitatissime ricerche del telefono seguendone faticosamente il richiamo, si arrivi lì ad afferrarlo e lui smetta in quello stesso momento di suonare. E più lo pensa più si agita, e più si agita e più pensa che non dovrebbe pensarci altrimenti va a finire che perde tempo prezioso e poi magari capita davvero. Quando finalmente trova il proprio padrone elettronico che vibra e lampeggia abbandonato su una sedia, come previsto smette di squillare pochi attimi prima che lui, cetaceo nudo ed umido possa rispondere. Il risentimento, già alimentato dal desiderio di sostituire l’odiosa suoneria, è rinvigorito dallo scherno che il fato riserva ai miserabili assonnati. Esso genera sentimento di rivolta, l’odio represso del suddito contro il tiranno di silicio. Il cellulare potrebbe esplodere in mille pezzi gettato contro un muro con un folle gesto di violenza non soffocata. Ma il despota ed i suoi fedeli transistors sanno come ammansire ed annichilire i propri dubbiosi adepti offrendo loro infinite possibilità ed opzioni come il ‘ registro delle ultime chiamate ‘. Ecco quindi come in un paesaggio di pianura di un ordinaria giornata invernale, la coltre nebbiosa si va lentamente diradando sospinta dalle leggere brezze degli imprevisti e dagli sforzi per leggere il display. La percezione spazio‐tempo si concretizza e si stabilizza su valori terrestri e non più plutonici. I luoghi, gli oggetti, i tasti del Dio Comunicatore appaiono un po’ più grandi di prima. Come una pericolosa e soffocante mattinata padana si trasforma in un bel pomeriggio di sole, così il tricheco vede sciogliersi il pack sotto le pinne e si trasforma seppur a gradi in un essere umano sveglio e presente il quale della fitta nebbia sonnecchiante ha un vivo ed orgoglioso ricordo di averla allontanata, ameno fino alla prossima volta. Questo favoloso sogno però viene interrotto dal terribile destino che la tirannia del cellulare dispensa con candida regolarità. L’umano viene riportato improvvisamente nella realtà come un ubriaco dopo un incidente d’auto il quale riacquista una sgomenta lucidità; le cifre sul display, quelle relative alla giornata corrente, si dipanano e spiattellano la loro cruda ed incontestabile verità: DOM 23 LUGLIO. DOM, DOM…DOM…come le funeree campane del sonno. DOM, DOM, DOM….come DOMine cellulare. DOM, DOM, DOM….come DOMenica gli uffici sono chiusi. DOM, DOM,DOM…come DOMani, sempre DOMani.