Pippo Mantella

Nel comune di Militello V.C. (CT), negli anni cinquanta, viveva un uomo, conosciuto come  Pippo Mantella, banditore, ma tale professione la esercitava solo quando gli veniva dato l’incarico dai commercianti del rione. Le sue curiose sceneggiate eccentriche, creavano buon umore agli abitanti del quartiere ed erano indice di attrazione, nel momento in cui si trovava a bandire il prodotto, da parte di una gran moltitudine di ragazzi che con schiamazzi, spesso, lo scherniva. Quando egli passava si fermava ai quattro canti del quartiere, e con il suo rullo di tamburo, fatto con un bidone quadrangolare, annunciava con voce baldanzosa, il prodotto del giorno, e diceva: “A sasizza s’innicalau“ Gridava con tutto l’ardore, continuamente, fino a che la sua voce arrivasse alle orecchie delle massaie impegnate nelle faccende di casa, per dare loro l’opportunità di recasi al mercato a comprare l’offerta del giorno e così preparare la cena per i loro mariti, al ritorno della mietitura. Dopo, un prolungato rullo, la sua voce inconfondibile coadiuvata da gridi, s’innalzava nell’aria rarefatta del mattino, mentre gli facevano da sottofondo le risate dei passanti incuriositi dai gesti che l’intraprendente banditore, con rudimentali mezzi di comunicazione, svegliava chi ancora dormiva. Quando replicava il messaggio, dopo alcune ore, trovava  noi ragazzi che ci accalcavamo per assistere la strana esibizione, che agli occhi degli altri, come in un teatro, portava la buona novella del giorno, insieme con il ripetersi arcano del quotidiano vivere di piccole cose, a noi produceva momento di derisione e scherno, mentre il tutto, rappresentava i personaggi, come se fossero rinvigoriti dalla presenza dei raggi del sole, divenendo attori di un quadro espressamente mondano. La semplicità si estendeva in folta coltre sopra i cuori delle laboriose donne, e tutto si specchiava genuino e umile allo sguardo del forestiero.  In questa vita profana, v’era qualche indiscreto momento, in cui qualcuno dei ragazzi, beffeggiandolo, gli faceva fuoriuscire dalla bocca schiamazzi e acri ansiti di rabbia, prodotti dal suo temperamento piuttosto eccentrico. Con tutto il tamburo pendolante tra i sudici pantaloni e la sguarnita camicia, lo  si vedeva correre al simigliar d’un clown,  sballottando quel bidone a destra e a manca mentre cercava di raggiungere quel ragazzo che lo aveva offeso. La sua forza presto, però, lo abbandonava e, ansante lasciava la preda, ritornando con aspro brontolio, al malaugurato angolo. Così iniziava di nuovo a rullare il tamburo delle offerte del giorno: “ A canni sinnicalau” gridava con voce avvoltolata, rullando forte e scaricando l’ira sul bidone, che pian mostrava segni di cedimento mentre il suono, già diveniva stonato. Di rado, era retribuito per le sue prestazioni, anzi spesso veniva pagato in natura, e così facendo, il commerciante con poco lo accontentava, ed egli ne era soddisfatto. Pippo Mantella, si adattava in molti servigi comunitari nel paese, specie quando faceva il sagrestano nella parrocchia. Il parroco,  benevolmente, gli aveva assegnato il compito di suonare, tutte le mattine, le campane per l’ora della SS Messa e quando si sentivano suonare, un pensiero ed una riflessione andava a lui, elogiandolo per il suo impegno e per la sua devozione. Era un perfetto chierico nel servire il culto e nell’accendere e spegnere le candele, sembrava di avere tutto sotto il suo controllo e a benemerito di ciò, cantava la litania con voce eloquente, piena di vitalità e di fede  Nel periodo che precedeva la festa del Santo patrono egli si prodigava di raccogliere le offerte insieme agli altri diaconi e con il suo modo di cantatore si fermava ai quattro canti, e come era solito, rullando e gridando, incitava i paesani a collaborare con le offerte, perché il patrono li avrebbe così benedetto, per la prossima annata.  Molti si avvicinavano e mentre donavano il loro contributo al diacono che gli stava accanto, chiedevano a Pippo di cantare la supplica della festa, ed egli onorato, stringendo e modulando le labbra imitava tutti gli strumenti musicali. Il momento era veramente mistico, l’insieme dei suoni vivaci che procurava con la bocca ed il conseguente raccoglimento dei cuori affascinati, creavano tutt’intorno, un legame spirituale che consolidava la fratellanza e l’amore nella piccola borgata.  Passata la festa, lo vedevamo affaccendato a preparare la sua celebrazione, e questa era la sua personale festa che sarebbe avvenuta all’ottava. Egli, aveva procurato una statua del santo, di piccola dimensione, e a questa, gli costruì la vara da portare in giro nel paese. Era dal peso complessivo di circa trenta chili ed il santo era illuminato con lampade a batterie, il quale veniva caricato sulle sue spalle e portato in giro nei sobborghi, mentre Pippo echeggiava con grande ardore, inni e lodi. Ad ogni angolo delle vie, gli veniva chiesto di fermarsi, egli deponeva il santo e faceva un girotondo con passi di danza rituale, mentre con la bocca imitava i fuochi d’artificio. Dopo, innalzando la voce rintronava la musica religiosa, esibita con tutta la sua forza. Era uno spettacolo singolare e divertente che nessuno si voleva perdere, infatti il suo passaggio era atteso come un avvenimento religioso che si convenga. Pippo Mantella sta arrivando con il santo, dicevano, il suono del campanello, che egli era solito suonare ad ogni fermata, era il segno che si trovava nei pressi e che tutti si raccogliessero per assistere a quel caratteristico spettacolo. Molti dei paesani, davano delle offerte affinché potessero servire per lui e per la buona riuscita della festa che egli avrebbe preparato per l’anno avvenire. Divenne popolare in tutti i paesi vicini, tale che molti curiosi venivano proprio per lui, per assistere a questo suo voto, di venerare il santo Nicola, patrono del paese. Quest’uomo sembrò costruirsi un mondo personale dentro il mondo in cui vivevamo. Egli si rese indipendente da ogni vincolo di sottomissione e di ipocrisia mondana che regna tutt’oggi, nella società. Libero da ogni pregiudizio, procedeva nel suo cammino, deridendo nel suo intimo la società stessa che rideva di lui. Nella sua ingenuità, si distaccò dalla così detta “zizzania” e dall’invidia, creandosi un mondo, puerile, ma sano di ogni amarezza e di ogni antagonismo, che  gli permetteva di vivere sereno ed essere amico di tutti.  Il rullo del tamburo, oltre a pubblicizzare, voleva significare il richiamo a svegliarci per accostarci a quelli che sono i valori della coscienza e dell’altruismo, che sicuramente, ci sollevano dall’angoscia. Pippo Mantella insegnava la vera relazione sociale e tutti  lo deridevano, insegnava il vero amore ed era offeso, voleva creare una grande famiglia di tutti i paesani, ma non era capito. Veniva spesso sfruttato e lui si accontentava del poco, e giammai desiderò il molto. Ma quello che ripudiava era l’offesa, la mancanza di rispetto che i ragazzi non gli davano, e non sopportava che i genitori fossero indifferenti quando egli mostrava segni di insofferenza per le offese ricevute. La società, avvolte, è come una nave senza timone, ha la capacità di sottoporsi a  grandi pesi di solidarietà e di sacrificio, ma nello stesso tempo non sa intravedere la giusta causa di un indirizzo sociale che porti al miglioramento ed al benessere morale. Avendo, egli compreso ciò, si discostò dalla giungla del pregiudizio e dagli obblighi, per crearsi un tipo di vita differente, mentre viveva nello stesso ambiente. Riuscì a tener compagnia a coloro che avrebbero dovuto confortare lui. Con le piccole cose egli contribuì a creare le grandi cose, con le piccole e buone maniere contribuì a mostrarci, una buona società morale. Ma è opinione di molti che la società tende ad essere meno responsabile e più egoista, e sebbene essa progredisce, in modo sorprendente, non si può dire la stessa cosa per i sentimenti umani, valori, che debbano essere maturi in una raffinata società, che purtroppo, nessun miglioramento si prevede, ne per il  presente ne per il futuro.  Pippo Mantella sembra avere fermato l’effetto di questa disgregazione sociale, rimanendo integro nel suo piccolo mondo ingenuo e consapevole dell’evolversi dei tempi e dei costumi, non si adeguò alla conformità del cambiamento disinvolto e senza pregiudizio dell’era moderna, anzi combatte con estrosità con le sue armi e cercò di mettere a nudo l’atteggiamento culturale della fine del ‘900, dell’incauto declino del sentimento romantico, mentre viveva soffocato, in esso. Così il rombo del suo tamburo sembra annunziare  l’avvicinarsi del tempo tecnologico, e la sua voce, l’imminente tonfo di quel vento che distrarrà parte della mente umana dai molti sentimenti, ed insabbierà la volontà di recupero per ritornare sui vecchi passi del buon riviere.  Pippo Mantella faceva ridere con le sue trovate, sia quando, in inverno indossava i pantaloncini e canottiera e andava in bicicletta intorno al paese, sia quando lo vedevamo con il santo patrono sulle spalle, tutto addobbato di fiori, mentre con la bocca intavolava musica e fuochi d’artificio. Ormai era una consuetudine vederlo in giro con nuove trovate. Il suo portamento ingenuo e serio incitava tutti a collaborare alla sua stravagante impresa. La sua età era intorno ai quaranta ed era con pochi capelli e di alta statura, mi ricordo che era l’amico di tutti, ed era sempre pronto a servire. Onesto ed integro, non si senti mai di aver procurato del danno o delle molestie a qualcuno, lo dico, riferendomi alla malsana società di oggi, ma allora, a queste cose nemmeno si ci pensava, l’ingenuità era carattere. Indimenticabile fu la sua caratteristica personalità, egli seppe insegnare l’umiltà a molti, forse anche a me, e a chi, guardando nel passato si ricorda di lui, riscoprendo le meraviglie di un semplice animo che si contentò di poco, pur di acquistare il molto dalla grazia di Dio.