Rocco resiste.

Rocco resiste.

Calabria, oggi.

Rocco resiste. Si riempie i polmoni dell’aria mattutina del mare. Prima di andare alla vigna non ne può fare a meno. Rivede ancora il sindacalista quando gli spiega che, a causa del mancato versamento dei contributi da parte della ditta per la quale aveva lavorato, non potrà andare in pensione. Così come ha ascoltato il suo principale quando gli racconta che, a causa della crisi, non può fare fronte alle spese e deve chiudere. Però quando ha raccontato al suo avvocato che a causa della crisi che ha fatto chiudere l’officina e che a causa del mancato pagamento dei contributi non andrà in pensione quindi non ha una centesimo per pagarlo, questo, l’avvocato, s’infuria, e minchia, e crista, e cazza, e lo caccia. A Rocco. Ma Rocco resiste. E sta in Calabria. Non come Gegè Asciutto che se ne ‘è andato a Firenze a fare il pizzaiolo. Rocco, adesso, ha trovato un lavoro come raccoglitore di limoni. Di limoni, sissignore. Si fanno anche in Calabria, non solo in Sicilia. Sta cazza di Sicilia. Qui abbiamo le arance che ce le tiriamo dietro. Come uno va al nord: da dove vengono le arance? Dalla Sicilia! Sta minchia! E quelle che abbiamo in Calabria cosa sono? pietra pomice? Oppure a Firenze, buona quella. Ce n’è ulivi in Calabria? Ce n’è ulivi! Ma io vivo in un posto che con gli ulivi ci fanno anche le sedie. Ce li mangiamo nel latte, gli ulivi, meglio dei biscotti. I nostri neonati prendono il latte con i biberon di ulivo con dentro il latte d’ulivo. Ci sono boschi di ulivi che toccano il cielo e nessuno lo sa! In Calabria ci sono gli ulivi? Ma va! Solo che i limoni, le arance, le olive calabresi non valgono niente, un’amata minchia come dice il rappresentante degli agricoltori calabresi quando tenta di farsi ascoltare al Ministero. Neanche la pena di raccoglierle. Qualche centesimo a cassetta. Qualche centesimo, capisci? Certo che poi non riesci a pagare i neri in nero e i giornalisti dell’altitalia ti scassano le ghiandole minchiali! É per questo che Tano Scarfò ora fa il bidello, a Parma, dove la nebbia te la mangi a ufo. Stattene in Calabria col sole e muori di fame senza lavoro e senza pensione! C’era stato un momento in cui aveva pensato di andarsene, Rocco, quando il suo amico Nino se ne andò dalla vita. Morì o si fece morire. Compagno di scuola dalle elementari alle medie. E tutte le medie compagno di banco. Nino faceva il pittore. Pittore! Pittava e non imbiancava. Nella provincia calabrese fare il pittore! Sissignore. Ma quando chiese al Comune la Sala Sociale per fare una mostra gli fu risposto che sarebbe stato meglio farla nel palazzo Ferrari. Era più rappresentativa. Proprietà di don Ciccio Ferrari, stella di prima grandezza nel cielo, non sempre limpido, della politica locale. Perché nella Sala Sociale, visto che era di tutti non la poteva usare nessuno e per non fare un torto a don Ciccio avevano tolto le luci, divelto le prese della corrente, sottratto le sedie, sporcato le pareti. Sì, però è gratis e con una bella mano di bianco. Il Palazzo Ferrari costa mille euro per quindici giorni! Ho capito! Ma la location dove la metti? Però, almeno le sedie per la presentazione durante la vernice le posso chiedere al Comune? Le sedie del Comune sono nella palestra della scuola elementare. Tutte accatastate. Però, sono nuove. Sì, ma sporche. Però sono gratis. Ma devi andarle a prendere. Sai che fastidio. Invece devi rivolgerti al cugino dell’assessore che le affitta e te le porta direttamente in sala. Sul prezzo, poi, vi metterete d’accordo. Nino non resse a tanto sconforto, soprattutto quando andò a formalizzare la richiesta per avere la sala per la mostra. L’ufficio tecnico del Comune sembrava un Luna Park delle idiozie rigurgitante di inetti e incapaci per qualsiasi attività o mansione. Uno teneva la penna, l’altro l’astuccio. Uno girava la maniglia, l’altro apriva la porta. Uno apriva il registro, l’altro girava le pagine. Uno faceva le parole crociate, l’altro compilava la schedina. Uno faceva una fesseria, l’altro una bestialità. Ma il capolavoro stava nell’ufficio legale, manica di passacarte e mangiapane a tradimento, fior di avvocati alle dipendenze del comune che, però, scacciavano le mosche, passando tutte le pendenze legali presso l’ufficio dell’avvocato Giorgio Ferrari, figlio di don Ciccio Ferrari, che ingrassava in consulenze. No, Nino non resse e se ne andò a morire senza dare troppo disturbo. Ma Rocco resiste. Rimane ancora a respirare l’aria del mare mentre sale alla vigna. Quanti lavori ha fatto? Nell’ultimo curriculum erano tutti in fila. Diploma di scuola superiore. Cameriere. Pescatore (imbarcato da ragazzo). Cameriere e pescatore insieme. Poi barista. Poi venditore di cucine e operaio specializzato in impianti per la ristorazione. Infine serramentista. Questo negli ultimi trent’anni. Quei famosi anni senza contributi. Ora fa il raccoglitore di limoni. Ma gli hanno detto che per ora non ci può andare. Ca ci sono le vacche sacre e finché non passa il Santissimo per farle muovere, di là non si può passare. Quindi, Rocco, deciso a rimanere in Calabria, per non farsi schiattare la cistifellea dalla rabbia, se ne va alla vigna, così rompe due mazzacani per aggiustare le armacere, i muri a secco che devono essere sempre badati, come i bambini. Quindi si mette a cantare, come il cardillo nella gabbia che canta o per amore o per rabbia e dato che Rocco un amore non lo ha mai dichiarato, decidete voi. «L’amuri toi è comu n’armacera / si faci ‘nda n’annu e si spascia ‘nda n’ura».

Francesco Cento