Sindrome di Stoccolma

Lo stridore delle ruote in frenata sugli scogli è atroce. Almeno quanto il sole che picchia senza pietà sul costone e sulla spiaggia.
Il balordo è così sudato che i poliziotti vedono fin da lassù le gocce luccicanti come resina scendergli lungo il torace lasciato scoperto dalla camicia sbottonata.
Almeno quel che non è nascosto dal corpo della ragazza che egli serra contro di sé. È verso di lei che gli occhi di tutti sono puntati, o piuttosto alla canna del revolver premuta contro la sua tempia.
L’ispettore accosta il megafono alla bocca.
‐ Non fare scemenze! Butta la pistola!
‐ Se fate un passo è morta! ‐ grida l’uomo dalla spiaggia.
Uno ad uno, i poliziotti scendono dalle auto, imbracciano i fucili.
‐ Non sparate. Abbassate le canne.
Dovranno aspettare l’arrivo del questore di Brindisi. Questi sono gli ordini.
Restano sul costone a guardare come imbambolati l’uomo che hanno inseguito per mesi, con la preda ancora in suo potere, quella per cui si erano mobilitati polizia e carabinieri di mezza Italia.
Eppure lei non piange.
Trema sì, ansa, i lunghi capelli biondi bagnati del sudore suo e dell’uomo, grandi macchie si allargano sulla canotta da quattro soldi e sui pantaloncini che a stento le coprono le cosce, roba rimediata chissà dove.
Ma non sembra temere la pistola a due dita dal suo cervello. Non guarda la mano di lui. È verso i neri giubbotti antiproiettile che guarda, come se da loro debba arrivarle la morte.
La macchina con cui sono arrivati fin lì (rubata, naturalmente) se ne sta mischiata a quelle con la sirena quasi alla rinfusa, senza che nessuno pensi di chiudere le portiere o di spegnere il CD. Almeno all’ispettore suona quasi beffardo Santána sparato a tutto volume in mezzo a quel dramma; eppure non ordina a nessuno di interrompere la canzone. La sentono anche il balordo e il suo ostaggio dalla spiaggia, più lontana, soffusa. Egli pare allentare la stretta, senza toglierle la pistola dalla tempia. Quella morsa ha qualcosa di strano, pensa l’ispettore. Non è la morsa del carnefice, che lascia lividi e toglie il respiro; e lui ha un bel paio di braccia, lividi può farne quanti ne vuole. La ragazza ha le mani serrate al braccio di lui ma non cerca di liberarsi. Sembra piuttosto che gli si aggrappi.
L’ispettore non azzarda giudizi. Chissà cosa scatta nella testa quando sai che da un momento all’altro qualcuno te la può far saltare in aria.
Arriva un’altra automobile a sirene spiegate. Ne esce il questore, insieme a un uomo molto serio, aria distinta da libero professionista. Il questore dice che si tratta dello psichiatra che segue il caso. Ma un nodo serra la gola dell’ispettore quando vede precipitarsi verso il ciglio un uomo e una donna sulla cinquantina; deve far intervenire gli uomini per non farli cadere di sotto. I genitori di Miriam, ormai li ha visti talmente tante volte alla televisione che non può non riconoscerli.
‐ Miriam! Miriam! Bambina mia! ‐ grida la signora con tutto il fiato che ha in gola.
Miriam riesce a scorgerla prima che il poliziotto la trascini indietro. Ha un sussulto, ma nulla di più.
‐ Signora, si calmi ‐ cerca di dirle l’ispettore. ‐ Non è così stupido da fare del male a sua figlia, ha già un omicidio sul groppone. Stia calma perché avremo bisogno del suo aiuto.
Non è sicuro di dire la verità, la voce gli muore quasi in gola; l’esperienza gli ha insegnato che non si può prevedere niente quando le cose si mettono così. Già non si prevedeva che Riccardo Quadrato detto Rick e quell’altro compagno suo (aveva imparato quasi a memoria le schede, sui trent’anni tutti e due, due vite trascorse a entrare e uscire di galera) dopo una rapina in banca andata male, con la polizia alle calcagna, si sarebbero infilati nella prima casa capitata loro a tiro prendendo in ostaggio quella biondina sedicenne con la sola colpa di trovarsi in casa nel momento sbagliato. La mamma l’aveva raccontato più e più volte al microfono bagnato dalle lacrime: perché lei, Miriam Monteluso, così piccola, fragile, innocente? L’ispettore cerca di stringerla al petto, ma la signora, bionda come la figlia, non smette un momento di tremare.
‐ Datela a me. Ci penso io.
Lo psichiatra prende in consegna la signora, le parla all’orecchio, la rassicura. Il signor Monteluso rimane invece inerte, come le rocce del costone, sembra quasi non accorgersi del metallo della carrozzeria ormai rovente dal sole che gli brucia la mano, il volto come una maschera di creta sotto i capelli bianchi; non vede nulla, non sente nulla, si perde soltanto nella bianca sagoma della figlia inghiottita dalle braccia abbronzate.
‐ La mia Miriam ‐ ansima. ‐ Ma l’ha vista... Vestita come una prostituta...
L’ispettore non riesce a reprimere un gesto infastidito; agli abiti si mette a pensare, quando tra un secondo la ragazza potrebbe esser distesa in una pozza di sangue! Sa che sono testimoni di Geova, tutta la famiglia, ma... No, può essere solo un modo per non pensare a quella dannata canna di pistola; lui ha tre figli ancora piccoli, non sa cosa farebbe se al posto di Miriam ci fosse uno di loro.
Tutta l’Italia conosce anche i minimi particolari della sera del sequestro; i programmi televisivi li hanno reclamati con morbosa minuziosità. La tavola ancora apparecchiata con la cena finita, i vetri della finestra sul pavimento quando i due l’avevano sfondata per entrarvi, il proiettile che aveva colpito la mano del padre facendogli cadere il coltello istintivamente afferrato, la camicia da notte appena indossata da Miriam, il pugno con cui l’altro balordo l’aveva colpita facendole sanguinare il naso, il suo faccino piangente, l’ultima cosa che i genitori avevano visto mentre i due infilavano la porta trascinandola via con la pistola puntata alla tempia.
Proprio come ora.

Hoy es adiós,
mañana quizas
sé que tu vás a volver...[1]

‐ Non permettere che mi portino via da te!
Quel filo di voce solo Rick può sentirlo, ed egli non sa far altro che stringerla ancor più forte, le labbra nascoste le baciano i capelli. Miriam sprofonda nell’abbraccio, sa che può essere l’ultima volta. Se lo sente nello stomaco tutto l’appassionato strazio dell’addio tagliarla in due da dentro, quello per cui legge e rilegge Romeo e Giulietta anche se lo sa a memoria. Ora lo sa, non se l’è inventato Shakespeare; è la verità. Guarda i poliziotti davanti a sé, un branco di cani feroci pronti a mordere.
Che ne sanno loro di Rick, del vero Rick, quello che solo lei è riuscita a vedere? Rick non è un criminale, è buono, glielo hanno detto i suoi occhi, dal primo momento. Sequestrarla non era stata un’idea sua, ma di quell’altro. Lui sì, era un vero mostro. Ha perso il conto di quante volte aveva cercato di picchiarla, e di tutte le risate che si era fatto nel vederla piangere. Non ci era riuscito solo perché Rick l’aveva difesa. Dai primi giorni, mentre da Viterbo scendevano in macchina verso sud, Rick non aveva voluto che fosse messa nel cofano; legata e imbavagliata va bene, lo aveva sentito gridare, magari anche bendata, ma nel cofano ci muore! L’aveva fatta stendere sul sedile posteriore, assicurata dalle cinture. Non aveva mai voluto lasciarla sola con quell’altro, che cercava sempre di mandarlo da un’altra parte, a telefonare per il riscatto, a prendere contatto con gli amici loro; niente, a farle la guardia c’era sempre rimasto Rick, che non la torturava, che era gentile. Era sempre Rick a portarle da mangiare e da bere, lui a parlarle per distrarla. Rick l’aveva visto quanto fosse sola. Terribilmente sola.
Se lo prendono ora, lo schiafferanno dentro per almeno trent’anni. E non potrà mai dirgli il suo segreto. Nessuno se ne frega niente. È un delinquente, e assassino per giunta. E questo basti.
No, non è giusto! Rick non è un assassino! Ha ucciso per lei!
La colpa era tutta di quell’altro! Voleva mandarla sul marciapiede per avere di che mangiare, e visto che era vergine, voleva violarla lui stesso; Rick aveva provato con le buone, no, aspetta un momento, se ci facciamo dare cinquemila euro dobbiamo anche ridargliela intera! Me ne frego, ammettilo che te la vuoi fare tu, aveva risposto quello mentre si gettava su di lei prendendola per i capelli, il fiato puzzolente di alcool lo sentiva ancora addosso. Rick lo aveva preso a pugni con una rabbia mai vista. Uno lo aveva colpito dritto alla testa. Ci era rimasto a terra, stecchito. Rick è forte; è stato un pugile, è finito in galera per gli incontri clandestini, quelli dove non ci sono regole, quelli dove sul ring ci lasci la pelle. Non è stata colpa sua, ha ucciso per salvarla.
Miriam non sa se è stato allora che ha cominciato a guardarlo come uomo. Si era sorpresa a spiarlo quando si toglieva quella lurida camicia a quadri a mezze maniche, con il cuore che le batteva forte a vedere il torso possente e bronzeo da pugile, chiazzato di tatuaggi come il vello di un leopardo, brillare per il sudore. Sì, è stato allora che Rick ha smesso di essere per lei il carceriere; ora era la sua guardia del corpo, o il suo angelo custode, o quello a cui poteva raccontare tutto quanto non aveva mai potuto dire a nessuno.
O semplicemente un uomo, solo come lei.  No, più di lei, molto di più. La solitudine di un uomo cui hanno stampato in fronte “criminale”, e che questo marchio non se lo potrà togliere mai più, nemmeno se volesse.
È stata la solitudine a unirli, prima di tutto il resto.
A renderli una cosa sola.
Anche prima del suo segreto.

…Our breath and our skin,
our hearths and our minds,
they’re one and the same.
You are my kind.[2]

‐ Come sarebbe a dire?
‐ Esattamente quello che ho detto, ‐ risponde lo psichiatra.
L’ispettore comincia davvero a non capirci più niente. ‐ Il fatto che si fosse rifugiato con Miriam in quella villa in vendita nel Vesuviano, l’avevo sentito dire; che vi fosse stato trovato un materasso macchiato di sangue, pure. Ma qui sfioriamo veramente il macabro.
‐ Cosa ci trova lei di macabro? ‐ il fare sussiegoso del dottore è decisamente irritante. ‐ I fatti sono che nel sangue hanno trovato tracce di seme. Di violenza non si è trattato certamente: tutto il resto era più in ordine di un asilo nido, e se avesse voluto cancellare le tracce non avrebbe certo lasciato la macchia di sangue in bella vista proprio lì. E dato che, a sentire i genitori, Miriam era vergine al momento del rapimento, più semplice di così non potrebbe essere.
‐ Ma si rende conto di cosa sta dicendo? La vittima di un rapimento un bel giorno si sveglia e se ne va a letto con il rapitore? ‐ protesta l’ispettore sforzandosi di contenere l’irritazione per non farsi sentire dal questore. ‐ Allora noi dovremmo supporre che tutta la storia sia una messa in scena e che la ragazza abbia mascherato una fuga adolescenziale con un finto rapimento facendosi addirittura pestare a sangue... e minacciare con una pistola in fronte!
‐ Pensa forse che gli esseri umani siano fatti di ferro? ‐ lo psichiatra non si scompone di un millimetro, sembra stia spiegando l’ultima lezione di psicologia applicata a uno studentello poco diligente. ‐ Sfido lei a subire tutto lo stress che ha subito Miriam in questi mesi senza che il suo cervello ne risenta, specie se Quadrato è stato l’unico contatto con l’umanità che ha potuto avere. È un classico caso di sindrome di Stoccolma.
Ed ecco, tutto messo in provetta perbenino, etichettato e chiuso nel suo cassetto. La cosa, invece di rassicurarlo, finisce per innervosire ancor più l’ispettore. La musica ora gli riesce insopportabile.
‐ Quadrato, lasciala andare! ‐ La voce del questore stronca il suo gesto di ordinare che qualcuno spenga quel dannato CD. ‐ Se ti arrendi ora, il giudice ne terrà conto...
‐ Me ne frego del giudice! ‐ grida il balordo troncandogli la battuta. ‐ Voglio parlare con i genitori di Miriam!
È condotta avanti la signora. Chissà, magari il questore pensa che Quadrato si commuoverebbe all’implorazione di una madre. Lei prende il megafono tremando.
‐ La prego, ‐ geme con la voce bloccata dal pianto, ‐ mi ridia la mia bambina...
‐ Bambina un corno! E perché dovrei ridarla a voi? Così tornerete a trattarla come una monaca di clausura? Con voi non sarebbe capace di vivere neanche un cane!
L’ispettore comincia ad avere paura sul serio: un criminale messo alle strette è la specie più imprevedibile che si possa immaginare, e non puoi mai sapere se all’ultimo momento lo afferri una crisi di coscienza o si trasformi in un mostro da film dell’orrore.
La signora Monteluso cade in ginocchio.
‐ Farò tutto quello che vuole, ma non la uccida! La supplico!
Rick sta zitto per un po’. Pare la stia squadrando da capo a piedi.
‐ Tutto?
‐ Sì, sì tutto!
‐ Mi dia la sua parola, o la uccido subito.
‐ Lo giuro su tutto quello che vuole, sulla vita di mia figlia!
Il balordo ora sta ridendo, di vero gusto. L’ispettore si sente i brividi addosso.
‐ Diavolo! E che è successo? Se non sbaglio voi non potete giurare sennò vi casca la lingua nel buco del lavandino, e ora lei giura proprio sulla vita di sua figlia che è in mano mia. Bene, allora a ogni cosa che dirò, lei dovrà rispondere “lo giuro”; così sarò sicuro che lo farà veramente. Si ricordi che se sgarra sua figlia è morta.
‐ Sì, sì! Farò tutto quello che vuole!
Tutti seguono come ipnotizzati ogni movimento del braccio di Rick attorno alla vita di Miriam, la canna del revolver premuta più forte contro la sua tempia.
Tutto fermo, come al rallentatore, anche nella testa dell’ispettore, che lascia andare il signor Monteluso accorso a sorreggere la moglie. Eppure sarebbe tutto chiaro, come nel film “Arancia meccanica”; crudeltà senza senso, gioco senza ragione se non quella di far soffrire, sempre di più. Ma qualcosa non gli torna: la voce. Quella non è la voce di chi gode nel tormentare.  

You were a victim of my crimes,
a product of my rage…[3]

A Rick sembra che il cuore cacci sangue dalla bocca. Miriam lo implora di non lasciarla, gli si stringe addosso come volesse inabissarsi nella sua pelle. Eppure deve lasciarla andare; vorrebbe che prima gli imbottiscano le budella di proiettili, ma lo farà.
Che lo arrestino pure, non gli importa un tubo. Tanto lui ci creperà in prigione, se non crepa direttamente qui; non c’è che dire. È a Miriam che pensa, e a tutto quello che gli ha raccontato. Gli viene da vomitare al pensiero che hanno vinto loro, che le metteranno di nuovo le mani addosso e che la chiuderanno in casa a doppia mandata come fosse una carcerata anche lei. Ma che vita ha fatto finora? Solo casa, scuola e stanzone di preghiera, seppellita anche d’estate in roba che le arrivava al collo, gli amici glieli sceglievano i genitori, neanche una festa non diciamo in discoteca ma nemmeno a casa dei compagni di classe! Separata da tutti perché il mondo fa schifo tranne loro.
No, non deve finire così! Per lui finisca come deve finire, ma la vita di Miriam deve cambiare da ora, dovesse non uscire vivo dalla spiaggia.
Dannazione, che gli ha fatto quella ragazzina? 
Non era stata certo una questione di crisi d’astinenza: si era sfogato abbondantemente anche durante la fuga, con le prostitute che gli avevano dato i vestiti per Miriam; questo erano le donne per lui, letti di periferia piuttosto scomodi e anche puzzolenti dove non si fermava mai per più di una notte.
Quando erano ripartiti, Miriam gli aveva piantato addosso un paio di occhioni azzurri che gli avevano fatto lo stesso effetto di un gancio sferrato dritto allo stomaco con il guantone imbottito di chiodi. Li aveva già visti: erano gli occhi di sua madre quando aveva saputo che si era messo nella boxe clandestina. No, la crisi d’astinenza non c’entrava un corno, e nemmeno l’attrazione fisica: era stata la voglia rabbiosa di strapparle quella dannata verginità da brava ragazza. Era solo per quella che aveva potuto permettersi di guardarlo dall’alto in basso.
Comunque, ora non avrebbe il coraggio di andare con nessun’altra. Mai più.
Non dopo quella notte.
Si era sentito già abbastanza in colpa quando l’aveva vista dormire tra le sue braccia, nuda, fragile, inerme come non gli era mai parsa. Aveva accettato che gli si coricasse accanto, impaurita dal troppo silenzio della grande villa scheletrita; non aveva respinto i timidi baci con cui lo aveva svegliato; l’aveva trascinata in qualcosa di più grande di lei, forse soltanto per essere sicuro di averla davvero in pugno. Ora sì che non l’avrebbe mai più guardato in quel modo. Non sono migliore di quel pezzo di ruffiano che ho ucciso, aveva pensato vedendo la testolina bionda poggiata sul suo petto e la macchia di sangue risaltare cruda sul materasso: l’ho ucciso perché aveva ragione, volevo solo essere io il primo a godermi questa bambina. E aveva pianto, sulle palpebre seccate da almeno vent’anni senza lacrime.
Ma che può farci se quello è l’unico modo che conosce di amare una donna? Che può farci se ora senza Miriam tra le braccia non riesce più a dormire? Da allora non è passata notte senza che succedesse, e ogni volta, quando si fermavano per un attimo nella loro folle corsa con il fiato di polizia e carabinieri sul collo, aveva il sapore della passione disperata, di felicità divorata in fretta e furia prima della fine. Da allora non ha più pensato a scampare la galera; non era per quello che voleva raggiungere la Puglia e imbarcarsi sul primo motoscafo che gli capitava a tiro, verso l’Albania o la Grecia. Voleva portare via Miriam, per sempre, vivere con lei. In qualche modo si sarebbe arrangiato.  
Solo adesso torna alla realtà: aveva voluto sfogare sulla piccola Miriam tutta la rabbia di un cane randagio contro la gente perbene, l’aveva voluta sua, il suo ostaggio, l’aveva voluta drogata di lui, e alla fine l’unico ad essere drogato è lui. Si è innamorato, ecco tutto. Ma Miriam è una brava ragazza, fatta per una vita tranquilla, serena. Lui non gliela può dare; non le può dare niente. Lui è un cane randagio, e da cane randagio morirà. Tutto quello che può darle ora, dopo averle tolto tutto, è una vita un po’ più decente.
Prima di lasciar uscire dalla sua zozza vita l’unico fiato che avrebbe potuto renderla felice.

...the one thing
I left was you,
and now you’re gone.[4]

Ma vuole decidersi a farla finita con questo teatro?, si contorce l’ispettore mordendosi la bocca.
Non ha neanche finito di pensarlo che arriva la voce dalla spiaggia.
‐ Bene, cominciamo. Dovrete lasciar uscire Miriam con gli amici il sabato sera.
‐ Lo giuro, ‐ risponde meccanicamente la signora.
‐ Dovrete farle festeggiare il suo compleanno.
‐ Lo giuro!
‐ E anche Natale, Capodanno, Pasqua, e tutto quello che vorrà.
‐ Lo giuro!
‐ La lascerete vestire come vuole.
‐ Lo giuro!
‐ Non dovrete più spiare nel suo diario.
‐ Lo giuro!
‐ Non dovrete più cancellarle sul telefonino i messaggi che non vi piacciono.
‐ Lo giuro!
‐ Le lascerete vivere la sua vita, e anche se non vorrà più essere testimone di Geova, voi non deciderete per lei!
‐ Lo giuro!
‐ Non l’ho sentita abbastanza convinta, ‐ la canna del revolver si schiaccia contro la pelle bianca, sembra che la mano del balordo faccia il gesto di togliere la sicura.
Subito il muro di fucili si rialza, la signora grida.
‐ Giù, giù quei fucili! ‐ sibila concitatamente l’ispettore, mentre vede con la coda dell’occhio il signor Monteluso prendere il megafono dalla mano della moglie, ormai incapace di fare di più.
‐ Senta, non ci ha ancora tormentato abbastanza? ‐ Sentirlo parlare è perfino più straziante. Una larva d’uomo, senza la disperata ferocia che hanno le donne quando si tratta della vita dei figli. ‐ Ha voluto la prova che faremmo tutto per nostra figlia? L’ha avuta. Che cos’altro vuole ancora? Vuole che ci facciamo sparare noi al posto di Miriam? Bene, prenda me e facciamola finita. La lasci andare.
L’ispettore deve farlo fermare, o a farsi ammazzare quello ci va sul serio.
Ma non servirà comunque: il balordo le ha tolto la pistola dalla tempia. Sembra che la lascerà andare.
Il questore tuttavia ordina di non intervenire fin quando la ragazza non sarà su, con i genitori, al sicuro. Tanto lui ha il mare alle spalle, non può scappare. A meno che non ci provi a nuoto.
Ma che succede? Perché non la lascia?
Passano i minuti, non succede niente.
È l’ispettore a non sentirci bene o Miriam piange? O è il verso dei gabbiani che non la smettono un momento di girare sull’acqua, dannazione a loro?
Finalmente, la ragazza si allontana. Con lentezza, girandosi sempre indietro. Uno, due, tre passi.
I genitori si precipitano giù, verso la spiaggia. L’ispettore va con loro, non si sa mai. Insieme al padre sorregge la signora che per la fretta rischia di rompersi l’osso del collo.
Ma la lascia andare subito appena vede con la coda dell’occhio Rick gettarsi su Miriam.
Spara, senza pensare.
O meglio, pensando solo alla pistola che Quadrato stringe ancora in mano.
L’urlo di Miriam fende l’aria.
Lui non ha gridato.
Il suo corpo non ha fatto quasi rumore cadendo sulla sabbia e rotolando verso il bagnasciuga.
Dio l’ho fatto fuori, è il suo primo pensiero.
Non credeva nemmeno di prenderlo, non ha mai avuto una buona mira. Lui è un ispettore da computer e scrivania. Una persona tranquilla.
Il mare si allunga e si ritira sulla bianca sagoma di Miriam che si stringe al petto la testa di Rick e gli copre la bocca di baci. Non è morto, respira ancora. La pallottola lo ha colpito allo stomaco, più o meno.
L’ispettore non riesce ad avvicinarsi. Lo fermano i singhiozzi di Miriam più che l’acqua di mare che si tinge di rosso.
Lo fulmina una consapevolezza: in questa storia lui è un terzo incomodo. Come lo è il dottor “so‐tutto‐io”, le cui teorie, compresa la sindrome di Stoccolma, non hanno più importanza delle grida dei gabbiani. Come lo sono il questore e tutti gli altri che ora stanno scendendo sulla spiaggia. Come lo sono anche i genitori, che fissano Miriam come non l’avessero mai vista.
Bisognerebbe soltanto andarsene, lasciarli vivere il loro azzurro, caldo, terso dramma nella sonnolenza del primo pomeriggio, soli con la voce di Placido Domingo che si perde all’orizzonte.

In the dreams of my heart, I see your face
calling me into the light.[5]

Possibile che le lacrime possano bruciare così tanto?
Quelle di Miriam che gli bagnano il volto bruciano più dell’acqua di mare che gli mangia la ferita. Come petrolio.
Chissà, forse bruciavano così le lacrime di quello che aveva visto morire in un incontro della boxe clandestina, prima dell’ultima galera. Gli altri ci avevano riso sopra: se la fa sotto, non è un vero uomo. Le donne si fanno molti meno scrupoli. Piangono e basta. Ma quando piangono loro, qualcosa brucia.
Se fosse morto allora, sul ring, nessuno avrebbe pianto. Forse solo chi aveva scommesso su di lui, ma non bruciano quelle lacrime.
Nelle lacrime di Miriam si riflette il sole come sul mare, divengono gocce di luce, forse bruciano per questo. O forse perché sono per lui, per lui che l’ha rapita, per lui che l’ha imbavagliata, bendata e legata al sedile posteriore della macchina. Per lui, che ha stabilito che la sua vita valeva cinquemila euro.
I suoi genitori ora li pagherebbero perché crepi lì; e Miriam paga le sue gocce di luce perché viva.
Gocce di luce e basta. Solo questo ha da dare una bambina cambiata in donna troppo in fretta; quella stessa bambina che nessuno riesce più a staccargli di dosso.
‐ Vado in ambulanza con lui! Rick deve vivere! Mio figlio ha bisogno di suo padre!
Bambina un corno. Lui l’aveva detto.

[1] Oggi, addio,
domani chissà
so che vorrai ritornar...
[2] Il nostro respiro e la nostra pelle,
i nostri cuori e le nostre menti,
sono una cosa sola.
Tu sei il mio tipo.
[3] Eri vittima dei miei crimini,
frutto della mia rabbia....
[4] ... tutto ciò che mi era rimasto
eri tu,
e ora te ne sei andata.
[5] Nei sogni del mio cuore, vedo il tuo volto
che mi chiama alla luce.