Sogni di fango

Spesso la nebbia ci lascia addosso l'odore del crepuscolo eterno.
Oggi mi sono coricata di fianco mentre il temporale stava trapassando la casa e rimbombava sulla “tomba” delle scale. Stava precipitando sopra il tetto.
Stava allagando il lucernario.
Stava martellando la lamiera dell'auto in sosta.
Stava scorrendo sui cunicoli trascinandosi il rumore dei sassi.
Rotolava in silenzio la grande massa della goccia.
L'idrogeno aveva scisso l'ultima molecola di un ossigenato mattino.
La ruggine la sento nelle ossa.
Il braccio ora si allunga verso il comodino.
La mano cerca una sigaretta e al buio tasta, palpa, massaggia, sposta, accarezza, spinge, intuisce.
Lo sguardo delle dita afferra un rettangolo molliccio, duro.
Il corpo è ancora abbandonato. Giace sul fianco. Rumore di sigarette cadute.
La donna/io ora veste un abito elegante, quasi ecclesiastico. Il passo fa strada al polpaccio.
Il tacco segue il ticchettio del cuore spillato da spine di rovo.
Assenza, presenza.
Il gesso sta tracciando parole incompiute e formula paradossi sulla lavagna d'ardesia.
Un nuovo mutismo sta trasfigurando l'aria.
Vorrebbe sparire, eclissarsi tra la folla come un corpo celeste che tende a scurirsi in pieno giorno.
Non è pianeta.
Non è satellite.
Non è normale che nevichi in questa stagione.
La donna/io ora gira l'angolo ed evita il danno dell'inquinamento atmosferico strozzandosi il labbro col foulard zuppo di santa pazienza.
Erano in tanti a camminarle a fianco, eccetto me che guardavo da lontano.
Ecco, ora lascio cadere un biglietto scaduto con un tonfo. Un eco di carta ora risuona nell'aria.
Ora la donna/io vorrebbe un caffè.
Indecisa se entrare o aspettare di arrivare in un bar più decente, annusa l'aria.
I semi di caffè sono piccoli chicchi profumati d'amaro.
Caffè macchiato, caffellatte, caffè corretto, cappuccino.
cappuccino all'italiana, latte macchiato, latte gocciato, caffè macchiato, caffè gocciato: che palle!
Il ticchettio del cuore segue il tacco a spillo, la gonna resta sulla porta ed io mi carico le narici di odore di varechina. Stanno lavando le coscienze di tutti immacolando le lapidi dell'innocenza.
Questo vicolo porta in una zona depressa della città.
La donna/io è depressa dentro l'abito elegante.
Anche la borsa della donna/io ora conosce la depressione monetaria del cambio iniquo.
Deprimente la saracinesca abbassata dell'ultimo fallimento.
Si butta in un cinema.
La donna piovosa stringe lo sguardo asciutto. Che cavolo di titolo gli hanno dato? Prima proiezione nazionale assoluta alle dieci del mattino. La folla spinge avanti in cerca di biglietti, paradossalmente mi trascinano davanti alla cassiera che non ha tolto la cispa dall'occhio.
Alla cassa arriva velocemente nonostante la lunga coda.
Al mattino voleva solo una proroga e invece ha ricevuto l'ennesima delega.
Nessuna deroga era possibile ed ora la donna/io camminava alla deriva con stile fondamentalmente descrittivo sul pavimento di un cinematografo, fotografando il mutismo dello schermo. Oggettivamente del film non le importava molto alla donna/io che, voleva solo ammazzare le ore.
La donna/io fa passare ottantanove minuti su una poltroncina, ultima fila rossa, cinema multisala, schermo medio/grande, audio DTS‐DOLBY DIGITAL,posti a sedere 200, intero sei euro e settanta.
Tessera quarantacinque euro per dieci spettacoli.
La donna/io sembra distratta e non ascolta.
Esce dal cinema.
Con gesto indelebile accarezza un cucciolo fermo davanti alla porta.
Non vuole affrontare di nuovo tutta la fatica del lento cammino.
Il cane la segue, anche lui solitario disegno, intirizzito abbozzo di strada.
Vede una donna pulire il culo di un cane e vomita schifo sociale.
L'umidità cresce.
La donna/io accosta l'orecchio alla sorda parete.
Attraversa la strada, esce dal vicolo e fugge fino a casa.
Non pronuncia parola e non c'è consolazione di specchi.
L'amore rimandato aspetta dentro due ciabatte.
Prende le ciabatte e l'ascensore e non proferisce verbo.
Non per versare sangue, o per sporcare linde piastrelle.
Lascia le ciabatte sulle scale.
La donna/io compie il volo sfracellandosi in cortile.
Schizzi impressionisti ovunque sul cemento surrealista esistenziale.
Io raccolgo l'ultimo sorriso prima che c'imbavaglino di nuovo.
Sulla tomba delle scale si distillano molti passi a ritmo piuttosto lento, poi sempre più veloce dentro un volo che mantiene vivo il nostro limite. Allegro ma non troppo, lentamente andante.
La donna/io sfida ogni equilibrio ed elimina definitivamente ogni riferimento ambiguo.
Scopre la verità della legge gravitazionale e tocca con ali invisibili la nuda reliquia di una nuvola danzante.
La morte accidentale passeggia tra le note e cerca l'eterna consolazione rimandata.
Con un urlo raggiunge il pavimento. L'avvoltoio notturno ha rivelato due ali di fango. Una penna traccerà l'ultima visione.
La puzza dell'urina sale fino al soffitto, tolgo il pigiama bagnato. Ho solo bisogno di un bagno caldo.