Storie di strada&rose tatuate

Testimonianza (prima parte) ‐ La storia che vado a scrivere (raccontare) è vera, nel senso che mi è realmente accaduta: anzi, posso proprio dire che si tratta di una "testimonianza" eppoi...tra un pò si capirà il motivo. E' un giovedì sera di fine dicembre, una serata qualunque, direi, un pò umida ma abbastanza tranquilla rispetto ad alcune altre delle ultime settimane (intendo ‐ è ovvio ‐ dal punto di vista atmosferico): molti potrebbero prendermi per matto, i più pignoli, invece, ed amanti delle statistiche all'eccesso, la chiamano antivigilia di Natale; sia chiaro che nulla importa al sottoscritto perchè per me il Natale è una cosa come tutte le altre, un giorno qualsiasi, forse anche peggiore degli altri (il titolo di un vecchio film del 1975, di Sydney Lumet, con Al Pacino e John Cazale attori protagonisti, recita "Quel pomeriggio di un giorno da cani": magari è proprio così il Natale, per coloro i quali non se la passano bene!). Una ragazza, di cui evidentemente non ricordo più il nome, alcuni anni orsono, su badoo, un sito di chat gratuita, mi mandò il seguente messaggio: "il Natale è la festa più falsa che esista!": d'accordissimo, debbo dire in tutta sincerità, e nulla di più sacrosanto racchiudono tali parole, perché essa è frutto del più squallido e mero consumismo, creata ad hoc dall'uomo per darsi una parvenza di buonismo e null'altro; per spendere, per consumare piuttosto che per riflettere. Avete presente la frase di John Fitzgerald Kennedy "la guerra è un male degli uomini e tocca agli uomini porvi rimedio"? Ebbene, io all'uopo, ossia in questa occasione, la capovolgerei, o meglio la stravolgerei aggiungendovi magari (come tocco personalissimo) un punto interrogativo ed uno esclamativo messi insieme alla fine, dopo aver detto ciocché segue: "Il Natale è un male degli uomini e toccherebbe agli uomini porvi rimedio?!". Ma tanto é: visto che il Natale esiste, alla stessa stregua di molte altre cose (ed abitudini) della vita dell'uomo, tanto vale non farci caso. Molto più vera l'Epifania, sarebbe, però, se vogliamo: una festa religiosa piuttosto che profana o consumistica come San Valentino o il Natale, appunto...il giorno più vero dell'anno ‐ a mio modesto avviso ‐ è tuttavia sempre stato il 31 dicembre, e con l'ultimo dell'anno nulla hanno a che spartire tanto il sacro (presunto) dell'una (Epifania), quanto il profano (vero o presunto, ed acquisito) dell'altro (Natale): sin dall'età scolare più remota, infatti, ritenevo questo, nonostante il Natale venisse personalmente visto (e vissuto) allora come momento di svago e di serenità da trascorrere in simbiosi con la famiglia, o più semplicemente come occasione per far "festa da scuola"; poi, però, crescendo e forse maturando (o meglio ancora diventando maturo invecchiando: non saprei dire, tuttavia, se sono attualmente sopraggiunto alla giusta maturazione, né se invecchiando o maturando nel corso del tempo e strada facendo, sia diventato migliore di quand'ero giovane!) questa sensazione e tale modo di intendere penso siano divenute sempre più profonde e reali in me stesso: durante la notte di quel giorno, infatti, tutto potrebbe davvero succedere, in teoria, ad ognuno ed ovunque (nulla è mai accaduto, sia chiaro,  durante le mie cinquantotto primavere precedenti trascorse su questa terra, o notti di San Silvestro che dir si voglia; nulla di speciale o di fenomenale che possa riguardarmi, per lo meno, in maniera tale da poter dire un giorno a qualcuno che io c'er...ma in teoria, appunto, potrebbe qualunque cosa accadere!). Ma l'ultima notte dell'anno è anche quella in cui ‐ inevitabilmente ‐ tutti i nodi vengono al pettine, come suol dirsi (è un modo di dire un po' retorico, magari, o da frase fatta, forse anche abbastanza retrò, ma penso sia così in definitiva e linea di massima); si stilano bilanci (lo fanno anche coloro i quali per nulla hanno dimestichezza con la partita doppia o coi registri contabili aziendali), si fanno i conti in tasca, sovente e volentieri, con sé stessi (a prescindere dal fatto che le tasche siano piene o vuote: rammento che in una delle scene più famose e cult del film "Novecento ‐ atto primo", di Bernardo Bertolucci, datato 1976, Roberto Maccanti ‐ Olmo Dalco' da ragazzo ‐ dica a Paolo Pavesi ‐ Alfredo Berlinghieri da ragazzo ‐ "Sono un socialista dalle tasche buche"; i personaggi da adulto, tra l'altro, sono rispettivamente interpretati, nella citata pellicola, dall'attore francese Gerard Depardieu e da quello americano Robert De Niro, due mostri sacri della cinematografia mondiale; ma un riferimento personale dice anche che mio nonno fosse un contadino mezzadro della bassa reggiano ‐ modenese, di idee forse socialiste, non certo ricco, il quale visse proprio nei medesimi luoghi in cui il film era ambientato e laddove fu in massima parte girato, ovvero tra le province di Cremona e Mantova, in Lombardia, e tra quelle di Parma, Reggio Emilia e Modena, in Emilia ‐ Romagna), soprattutto si fa (o si dovrebbe fare) un rendiconto con la propria coscienza. Probabilmente accade proprio questo anche se ‐ come ebbe a dire una volta Paolo Crepet, noto sociologo, psichiatra, scrittore ed attore teatrale, "la vita non è una mera attività commerciale, fatta di entrate ed uscite": invece ci sono gli sbagli, i rimpianti, che bussano alla porta (quella notte ancor più delle altre trecentosessantaquattro o trecentosessantacinque lo fanno); eppoi le occasioni perdute con cui fare i conti (appunto!), le quali pesano come macigni e sono più ingombranti d'ogni altro fardello; le porte mai aperte per paura di trovarvi dei fantasmi o di non trovarci nulla, dall'altra parte (mi sovvengono spesso le scale di alcuni disegni di Maurits Escher, noto matematico, incisore, litografo, grafico e filosofo olandese, le quali non portano a nulla seppure girino su sé stesse all'infinito; oppure le scatole cinesi che si aprono e rimandano ad altre scatole, e ad altre ancora in un perenne ciclo di...apertura senza scopo o costrutto alcuno); i viaggi interrotti a mezza strada; ed ancora, le strade trovate chiuse o sbarrate (i due aggettivi sono enucleati nei vocabolari ‐ per lo meno nel mio vecchio Palazzi accade così ‐ sotto la dicitura enne in maiuscolo ed appuntata: cioè, nella Nomenclatura, sinonimi, voci attinenti, analogie, epiteti, ecc. potrebbero sembrare dei sinonimi a tutti, ma a mio avviso non lo sono se li si legge in maniera più "sottile"!), dalle quali non si può più tornare indietro; le illusioni e le disillusioni; i disincanti, i sogni perduti e vai...vaffanculo! A molti pure capita ‐ magari ‐ di fare a botte, in quella notte, con sé stessi e colla propria coscienza (per alcuni trattasi più semplicemente del proprio io interiore, ma sembra siano la stessissima ed identica cosa tanto nel Paese di bengòdi, quanto a Katmandu che sta alle pendici della catena montuosa himalyana!), salvo poi farvici pace oppure mandarsi (e mandarla) a farsi fottere, appunto; ma forse ‐  chissà ‐ anche coloro esisterebbero (uso quì la forma verbale ipotetica perché non mi è dato proprio di sapere se esistano con certezza tali individui ma...ahimé, neanche se sia possibile escluderlo alla stessa stregua!) che nel corso della ultima notte dell'anno (la quale, per ironia della sorte, e per una serie di innumerevoli combinazioni astrali ed atmosferiche, potrebbe darsi che possa riuscire col buc...capiti tutta quanta stellata e colla luna piena in vista, a bella prima, a far da cornice alle stelle, proprio come se si fosse in pieno agosto ‐ notte di San Lorenzo?! ‐ e no a fine dicembre!) che riescono a stipulare (uso tale verbo proprio per ribadire meglio il concetto: non a caso, esso viene usato in ambito notarile e commerciale od immobiliare che dir si voglia in materia contrattuale!) un patto col diavolo alla bisogna (ricordate il mago Faust, personaggio dell'omonimo dramma di Wolfgang Goethe, che appunto stipula un patto col demone Mefistofele e finisce nella perdizione assoluta dop'averli venduto la propria anima?), e proprio col fine di divenire (o sembrare piucché sentirsi) più ricchi e più famosi, più belli e più giovani nel corso dell'anno nuovo che sta per scoccare. Camminavo in periferia, per strada (la strada è una lurida donna bastarda, la paragono sovente a una puttana: lei ti chiede dei soldi per farci l'amore, ma non mente mai perché ti dice in faccia e chiaro quello che cerca e vuole da te!), mi trovavo nel mezzo bello del solito mio viandare tardo serale, quando verso le ventidue (più o meno) decido di "breakkare" (verbo di origine americana post sessantottesco, od anglosassone in genere, in voga ed uso largo tra teenager, tra rappers, forse, e quant'altro: di certo niuno mai lo troverà scritto tra le righe di un Devoto, di uno Zanichelli, di un Treccani, aggiornati alla ultima edizione, o tra le definizioni a iosa contenute nella reale enciclopedia Britannica; "ma chi se ne frega!", forse avrebbero all'unisono esclamato sia Delio Tessa, che Remigio Zena, poeta anarchico milanese l'uno e poeta torinese scapigliato l'altro). Entro così in un "self24H": sì, avete ben letto, trattasi proprio di uno di quelli aperti notte e dì ed in cui vi trovi di tutto e di più come fossero dei vecchi bazaar della casbah di Algeri, di Marrakech o di Istanbul; vi trovi anche accendini, cancelleria e tappi di botti...preservativi. A Parigi chiamano gli autobus in servizio anche di notte "noctambus" (o 24H sur 24, appunto) ma vi sono anche i Petit Arab de coin, il piccolo arabo dell'angolo (così li chiamano affettuosamente gli abitanti della metropoli francese anche se in realtà non di rado capiti che essi vengano gestiti pure da italiani o africani). Si tratta di piccoli supermercati vintage dove si trova di tutto e sistemato in modo casuale: sta proprio in questa peculiarità il vero fascino di tali attività al dettaglio, molto diverse evidentemente dagli asettici supermercati o dai centri commerciali, figli (figliastri illeggittimi, forse) della grande distribuzione organizzata o GDO, di cui anche il sottoscritto ‐ volente o meno ‐ si serve! Li sembriamo tutti degli automi e troviamo tutto al punto giusto, allo stesso posto della volta precedente, salvo periodici sconvolgimenti di reparti e scaffalature all'interno di quei reparti, per mille o milioni di volte lo facciamo perché l'ordine fa parte del nostro modo di vedere le cose, oramai: esso, purtroppo, si è infiltrato come una cancrena nel cervello di ognuno di noi e ‐ forse ‐ anche nell'animo. Ogni arrondissment (uno dei venti quartieri che tagliano proverbialmente a fette ed in modo assolutamente immaginario il territorio di Parigi; ma invero in Francia accade per quasi tutte le grandi e medie città questa sorta di suddivisione territoriale) ne ha oggi almeno tre o quattro e sono diventati insostituibili, dopo aver preso lentamente piede sul finire degli anni novanta ed il far capolino dei duemila; una certezza per la gente del posto, situata sotto il portone di casa ‐ quasi ‐  e (quasi) sempre all'angolo di una via. Ma il self di cui parlo io, purtroppo, è simile in tutto e per tutto al supermercato: coi bazaar di cui sopra, o meglio ancora con i petit coin parigini seguenti ha in comune soltanto l'orario di apertura. Esso è uno dei tanti ed innumerevoli (ovunque) disseminati oramai lungo le vie della città, dal centro alla periferia, dove io abito da oltre un cinquantennio (più in periferia ve ne sono, comunque, rispetto al centro, dove fortunatamente vi trovi anche qualche negozietto etnico che a molti non piace e fa spesso esclamare frasi del tipo: "qui vi sono solo negozi cinesi ed indiani"!: i soliti pezzi di mer...razzisti che non muoion mai e li trovi ad ogni angolo di mondo, come una lebbra a lunga conservazione piuttosto che come un cancro!), ed anche nei quartieri più lontani rispetto alla cintura urbana vera e propria, quelli raggiungibili solamente dopo lunga percorrenza in auto o su mezzi pubblici (alcuni anni orsono mi capitò di recarmi al centro commerciale più vecchio in città ‐ quello a marchio COOP, nel quartiere "Paolo VI", per intenderci, un agglomerato di casermoni e grattacieli anneriti dalla fuliggine che cala giù di giorno e nottetempo dalle ciminiere dell'impianto siderurgico limitrofo ‐ con un autobus extraurbano: ci misi ben quattro ore, dalle sedici alle ventidue inoltrate ‐ ovviamente tutto compre...spesa inclusa ‐, dopo aver cambiato due autobus e vi dico che fu la manna dal cie...per me, una specie di gita fuori porta e divagazione una tantum sul tema dello scoglionamento esistenziale, se si tien presente che per percorrere il tragitto che va da Taranto a Bari, dopo che la linea ferroviaria è stata potenziata, ci voglia oggi meno di un'ora e mezza!). Dopo aver bevuto té zuccherato al limone, spesa cinquanta centesimi (ne avevo desiderio da alcuni giorni, visto che da tanto ho del tutto azzerato l'uso di questa bevanda che molti nutrizionisti considerano essere massimamente "antiossidante", ma che ha delle controindicazioni per il sottoscritto nocive al proprio sistema nervoso centrale o SNC che si voglia dire, evidentemente: ecco, pertanto, capitare a puntino il momento propizio per togliermelo, proprio come farebbe una donna gravida a cui il consòrte o convivente che sia ‐ magari dopo esser andato sino in capo al mondo per trovarli ‐ porta un gelato alla crema o delle fragole freschissime, benché fuori stagione, alle due di notte, per soddisfarne le sacrosante voglie e i desideri, appunto!), ed aver acquistato una confezione di due tramezzini (rigorosamente vegani, con pomodoro e formaggio ma...seppur debbo confessare di non esser vegano al cento per cento, lo sono nì!), spesa due euro (alcuni self, invero più taccagni o forse ‐ chissà ‐ soltanto più stronzi degli altri, chiedono un euro e cinquanta per un tramezzino in confezione "single"!), stavo per andarmene e proseguire il mio cammino, quando...all'improvviso, di fronte a me vedo apparire qualcosa di strano, insolito davvero per il luogo: su una parete del locale, infatti, ho scorto un foglio (affisso con nastro adesivo color grigio) su cui vi era scritta (in corsivo ed in neretto, a caratteri più grandi rispetto al testo successivo, tanto da risaltare ad occ...a vista) la seguente parola: "Testimonianza". Sono curioso dii natura (pur essendo tendenzialmente schivo, possiedo il carattere della curiosità nel mio dna: non sò se i miei nonni o qualche mio trisavolo fossero curiosi; mio padre invece lo era abbastanza. Esser schivi e curiosi all'unisono, beh...il fatto potrebbe sembrare davvero inconciliabile ma io vi convivo da parecchio senza farmene colpa alcuna né darmene inutile pena!), così non perdo tempo e mi avvicino al foglio, per leggere meglio. Dop'aver letto un paio di righe del foglio (anzi, sono due i fogli; in totale quattro pagine formato "A4", numerate in successione dal quattro al sette e in ordine disposte: me ne sono accorto subito dopo), decido così di staccarlo dalla parete dov'era affisso ("lo porterò a casa", penso dentro di me, "e lo leggerò con calma!"). Lo ripiego poi su sé stesso due volte per metterlo, infine, nel tascapane color marroncino che a tracolla porto immancabilmente, nel mio camminare, da immemore tempo (invero, per qualche anno, dal 2017 al 2019, camminai portando a tracolla un'altro zainetto: particolare irrilevante, forse, ma mi preme ugualmente scriverlo). Ovunque mi capiti di andare, ovunque vada (non importa se si tratti di un viaggio lungo o semplicemente del monotono gesto ma necessario del recarsi a buttare il pattume, nel cassonetto sotto casa) lui è sempre con me, mio fedele compagno di viaggio visto che lo possiedo dal lontanissimo 1980. La prima uscita insieme, ricordo, fu per andare in quel di Brindisi, a fine settembre di quell'anno magico ed al tempo stesso drammatico per eventi personali e generali che vi capitarono; una partita di basket fu la circostanza, allora: esattamente incontro tra Pallacanestro Brindisi e Sacramora Rimini, prima giornata del campionato di serie A2 maschile al palasport "Nuova Idea", in contrada Masseriola (poco fuori città del capoluogo adriatico), oggi intitolato alla memoria di Elio Pentassuglia, mitica figura del basket brindisino. Io ed il mio tascapane ne abbiamo viste tante di cose, in fondo, dopo quella partita lontana; insieme siam stati in tantissimi posti come...sovente hanno pure tentato di "fregarmelo", offrendomi dei soldi, ma io imperterrito ho sempre rifiutato: accadde durante un viaggio in treno, la prima volta, a Rimini; eppoi, ancora a Portogruaro, nei pressi di Venezia, l'estate successiva, a Trieste ed a Modena, a Bologna, a Zurigo, in Germania e in  Nuova Caledo...non ricordo quante altre volte, adesso, né dove sia stato! Lui sarà sempre con me, ovunque andrò, perché è solamente di lui che mi fido: insieme alla mia collana d'oro che porto al collo e sopra cui sono appese una croce e due fedi nuziali, ovvero le fedi più incrollabili della mia vita: non è la fede in Cristo, quella di cui parlo, visto che sono del tutto ateo ma di un'altra ben più concre...trattasi solamente ‐ e semplicemente ‐ di cosa (fede) umana, appunto tangibile ancorché più "terra terra". Il tascapane ed insieme la collana rappresentano un tempo che fu, per me, loro simboleggiano qualcosa che non si può scambiare con nulla al mondo né con nessu...andranno via insieme a me da questa terra quando sarà giunta la mia ora. Dopo aver riposto i fogli nel tascapane ho continuato la mia passeggiata fra le strade oramai (quasi) deserte e verso le ventitré sono rientrato a casa. Ho letto per intero la storia scritta sul foglio, poi ho deciso di riportarla (scriverla) integralmente all'interno di questa mia storia per testimoniare: anzi, parafrasando il titolo di ciocché il foglio stesso riporta, per proporre una "testimonianza".
"Mi chiamo Teodolindo Durante e voglio raccontarvi la mia Testimonianza...Fin dalla mia nascita sono cresciuto senza un padre. Egli espatriò per motivi di lavoro lasciando mia madre con cinque figli senza alcun sostentamento economico, nella miseria totale, prima che nascessi, (ultimo di cinque figli) poi nacqui io e divennero sei. (vivo per miracolo perché mia madre voleva abortire, ma credo che questo non avvenne per mancanza di soldi). Eravamo molto poveri, ed ogni giorno era una lotta per la sopravvivenza. Crebbi negli stenti, e mia madre cercò di fare del suo meglio, ma era una donna di scarse risorse culturali e intellettive. La strada fu la mia maestra, e per quel che riguardava lo studio non ne volevo proprio sapere, e quindi malgrado l'insistenza di mia madre lasciai la scuola media dopo aver minacciato il professore di matematica non sopportandone la disciplina. Dopo aver abbandonato la scuola di obbligo mi misi subito a rubare, prendevo tutto ciò che non avevo mai potuto avere a motivo della miseria in cui ero cresciuto. Ormai ero arrivato ad un punto che nessuno più riusciva a controllarmi. Iniziarono a portarmi in case di rieducazione, i guai con la giustizia non riuscivano a trattenermi, facevo già parte di una minigang, ero divenuto molto noto alle forze dell'ordine che non vedevano l'ora che divenissi imputabile per potermi arrestare perché dava molto fastidio alla Società. Gia ero stato in diversi riformatori da cui non ci ritornavo puntualmente, e appena giunto all'età di quattordici anni la mia vita diventò un entrare e uscire di prigione pirma da minore, e poi da maggiorenne. Mi arrestarono conducendomi nella Prigione locale dove mi tennero una settimana in cella di isolamento per la mia minore età non avendo un auto di servizio per condurmi nella Prigione minorile che si trovava in altra Città. Non vi dico quante ne ho passate e viste nelle carceri da poterci scrivere un libro. La mia vita divenne un via vai dalla prigione minorile e poi da quella giudiziaria. Nel carcere se ti fai pecora ti sbranano, e quindi devi mostrare subito i denti. Mi feci anche dei tatuaggi per sembrare più duro. Nella Prigione vige davvero la Legge del più forte. Ho assistito a diverse cose brutte li dentro, omosessualità, autolesionismo, litigi vari ed accoltellamento, etc. se poi sanno che qualcuno si trova dentro per pedofilia o per aver fatto la spia lo massacrano. Finito diverse volte in isolamento per varie ragioni. Mi tradussero in varie Case Circondariali, da minore in Prigione Scuola dove divenni tipografo e poi da adulto in varie Prigioni di tutta la Puglia, durante una traduzione riuscii anche ad evadere una volta e poi stanco di nascondermi mi feci prendere. Divenni poco dopo Cammorista con rituale patto di sangue. Intorno ai 22 anni  di età iniziai a riflettere, e compresi che stavo buttando via la mia vita, e così decisi di fermarmi e cambiare vita. Ma mi resi ben presto conto che non era per niente facile, e senza un aiuto e un interesse forte, non c'è l'avrei mai fatta. Molte erano le tentazioni del facile guadagno, ed il lavoro non mi piaceva per niente. Così pensai di responsabilizzarmi formandomi una famiglia con la speranza di non ricaderci più. Dopo qualche tempo nonostante avessi diverse relazioni, conobbi una ragazza che mi colpì perché se pur essendo a conoscenza del mio recente passato, mi volle ugualmente e così facemmo la cosi detta fuitina (np., in dialetto tarantino significa fuga d'amore) esendo che la sua famiglia era terrorizzata dalla mia triste fama. Ma ben presto mi resi conto che neanche l'amore per la mia compagna era sufficiente a farmi sentire al sicuro dal mio passato. E così decisi di avere un figlio che non tardò ad arrivare. Nacque un maschietto che chiamai Luca. Purtroppo nacque prematuro ed affetto da asma bronchiale, fra nottedi veglia ed ospedali, vi lascio immaginare. Ero caduto dalla padella nella brace; un figlio malato, e senza un lavoro, perché nessuno si fidava di un ex delinquente. E come se non bastasse, mia moglie si rivelò una puledra selvaggia che a tentare di domarla c'era da rompersi l'osso del collo. Per completare l'opera, mi notificarono la revoca di un anno di reclusione che avevo in sospeso. Era un dramma, anche perché vivevamo isolati da tutti i parenti. Ma grazie a Dio, conobbi una persona in prigione ex carabiniere che mi fece scrivere un memoriale che commosse la Corte d'Appello. E così mi annullarono la pena avvertendomi che se li fossi ricomparso davanti per un altro reato, non avrebbero avuto pietà. Passato il peggio, finalmente si intravedeva un raggio di luce, trovai un lavoro decente dopo aver fatto i lavori più faticosi ed umilianti del mondo. Tutto sembrava andare per il meglio, ma gli spettri del passato ritornavano alla ribalta, e fu per puro Miracolo se non ritornai in prigione. Dio ebbe pietà di me. Il mio caratttere prepotente e ribelle tornava ad emergere nuovamente ed iniziai a minacciare il mio superiore di lavoro, avevo un arma addosso ed iniziai ad andare con altre donne. Fino al punto che restai nuovamente senza lavoro. La mia vita coniugale era diventata una tragedia, litigavamo sempre ed eravamo sull'orlo della separazione. Eravamo esauriti al massimo e facevamo uso di psicofarmaci, in particolare mia moglie. La nostra vita era diventata un inferno, a tal punto che stavo progettando una pazzia. Quel pomeriggio del 1989, dopo l'ennesimo litigio con mia moglie e prima di commettere la pazzia progettata, invocai Dio istintivamente, dicendo: Dio mio non c'è la faccio più! so di aver fatto tanto male, ma non ho pagato abbastanza? se tu esisti davvero e non sei il frutto dell'Umana immaginazione aiutami, oppure fammi morire. Gli chiesi se realmente esistesse o fosse frutto dell'umana immaginazione, gli chiesi di perdonarmi tutti i miei peccati e se non avessi già pagato abbastanza per le mie colpe. Dopo qualche istante, sentii una sensazione di pace interiore che cresceva in me, ed una voce interiore mi disse: finalmente ti sei deciso a rivolgerti a Me, era tanto che ti stavo aspettando, sono stato sempre vicino a te, ma tu guardavi altrove. In quanto alle tue colpe, tu non le puoi espiare, ma io l'ho fatto al posto tuo morendo sul duro legno della Croce per te.