Una giornata di B.P. del '78

Si alza dolente. Anzi, ci prova e quasi non ci riesce. È stato lì a rigirarsi nel sudore freddo per un tempo che gli sembra infinito ma non sa neanche quantificare. Fottuta ansia e merda di astinenza, che adesso non gli da neanche il tempo di dormire qualche ora. Insomma, si alza e si trascina al cesso. La radio suonicchia qualcosa e sente sua madre armeggiare con piatti e pentole. ‘Cazzo di ore sono? Pure pisciare è una fatica, il fiotto sembra arrivare dalle viscere dell’inferno, caldo e quasi tagliente.
Ma! Prepari il latte?
Dalla cucina arriva un borbottio incomprensibile, poi sente sua madre ciabattare per il corridoio.
Vuoi il latte? Ma è ora di pranzo!
Non c’ho tempo per il pranzo, ma. C’ho un colloquio di lavoro tra un’ora e devo arrivare fino in centro…
È un anno che fai colloqui e continui ad alzarti all’una. Se cercassi veramente un lavoro l’avresti già trovato.
Ma no, questa volta è una cosa seria. Dai ma, poi ti dico.
Sua madre lo guarda mortificata. Inutile insistere.
Hanno rapito Aldo Moro…
Wow! Veramente?
Hanno ammazzato tutta la scorta…
Porca puttana! Fanno sul serio…
E tu che li difendi quegli assassini!
Ah Ma! La gente ce n’ha i coglioni pieni di questi burocrati ladroni… e voi che continuate a votarli…
Sei un disgraziato!
Chiude la porta, incurante dello sguardo severo della donna e si ficca sotto la doccia. Chissà che non gli sia di beneficio. Mentre si lava, pensa a quello che gli ha detto la madre, al rapimento di Moro. Che sta succedendo? Hanno ammazzato tutta la scorta? È arrivato finalmente il momento che qualcuno gliela fa pagare a quei fetenti di democristiani? Ma lui c’ha problemi più impellenti. Cazzi loro! Passa mentalmente in rassegna la struttura della sua camera, alla ricerca di qualcosa di valore da vendere, per procurarsi i soldi per una dose.
I dischi li ha praticamente venduti tutti. L’ultima infornata l’ha fatta quindici giorni prima e adesso gli manca da morire Station to station di Bowie. Come cazzo ha fatto a vendersi anche quello?
Di libri, si può dire che gli è rimasto solo quello che sta leggendo, “La vita interiore” di Moravia, perché era sul comodino il giorno che li ha portati tutti alle bancarelle di libri usati di via Po.
Di oro, non se ne parla, ha già rubato l’impossibile in casa.
Lo stereo della macchina? Si ma non ci escono neanche i soldi per una pera…
Il basso elettrico? E poi, come fa a suonare?
Ha già capito. È di nuovo il momento della macchina foto. Neanche sei mesi che l’ha ricomprata…
Vacca!  Giornata di merda. Ci pensa un attimo. 16 Marzo 1978. Quel giorno compie diciannove anni. Diciannove anni e niente da festeggiare. Ma tra una mezz’oretta la penserà diversamente e farà una festicciola personale privatissima: lui e madame Heroin da soli.
Il ricettatore abita a Porta Palazzo. Se si dà da fare, in venti minuti può arrivarci. Brucia i semafori e gli incroci com’è abituato a fare. Sul rettilineo di Corso Unione Sovietica raggiunge i 130, ma all’ultimo semaforo prima della stazione Porta Nuova ha una brutta sorpresa: c’è un posto di blocco che sembra Chek point Charlie a Berlino. Sa di non avere speranze di passare inosservato e infatti, uno dei caramba alza la paletta e gli fa cenno di accostare. Porca troia!
Non è una semplice pattuglia con due, tre carabinieri. Sembra piuttosto un’azione di guerra: tre o quattro gazzelle a formare un imbuto, decine di agenti con i mitra spianati. Giubbotti anti proiettile addosso. Del resto il clima è rovente e comincia ad assomigliare veramente ad una guerra: giusto una settimana prima è cominciato in città il processo al nucleo storico delle Brigate Rosse, Curcio, Franceschini, Gallinari, Moretti e gli altri; poi, quella mattina, il rapimento di Moro e il massacro della scorta. I militari hanno la faccia dura, sono visibilmente nervosi. Gli fanno segno e gli urlano di scendere dalla macchina e di appoggiare le mani al tetto, poi cominciano a perquisire lui e la macchina. Carte e oggetti volano sul sedile posteriore, prelevati con furia dai cassetti laterali e dal vano portaoggetti. Il ciarpame che tiene nel portabagagli in pochi secondi è sparso sulla strada. Un siringa usata fa capolino sotto uno straccio impregnato di grasso. Il militare la lancia verso un bidone della spazzatura. È solo un fottuto tossico. Gli fanno alcune domande piuttosto formali, poi gli urlano di raccogliere tutto e sparire velocemente.
Non se lo fa ripetere due volte.
Bastardi! Per loro rivoltarti la macchina e svuotare tutto in terra è normale! Cosa pensavano che avessi, una P38 nel bagagliaio? Affanculo!
Tira dritto sparato per la strada che ritiene più veloce, compresi un paio di divieti di transito e sbuca nel marasma di Porta Palazzo. Parcheggia davanti al Bar dei catanesi, dove un paio di ceffi gli si avvicina immediatamente, chiedendogli se ha qualcosa da vendere. Il suo ricettatore non si vede, così comincia a trattare con i due.
Cinquanta sacchi? Cinquantamila lire per una macchina foto che ne costa seicento? Voi siete fuori! Questa non è mica roba rubata, c’ho ancora lo scontrino! Un quarto del valore o niente, ne trovo decine come voi!
Si accontenta di 120.000 lire. Ha un disperato bisogno di farsi. Li arraffa col magone per la macchinetta che non vedrà più e rimonta in macchina.
In cinque minuti è in Piazza Castello, poi in Via Po. Fa sotto e sopra un paio di volte costeggiando i portici. Alla fine vede passare uno dei tanti pusher che girano perennemente sotto i portici della via.
Angela gli chiede di accompagnarlo a casa. Salgono in macchina e si avviano. È contento come una pasqua. Quella mossa della donna significa una cosa ben precisa. La conosce, gli è già capitato altre volte. Significa che lei ha racimolato il dovuto per pagare la roba e adesso se ne possono andare a casa sua a farsi con comodo. E la dose sarà abbondante. Angela è una donna minuta ma energica. Ha un marito perennemente in galera e un figlio che si porta spesso dietro, anche quando vende roba. Lui lo ritiene un rompi coglioni, uno di quei ragazzini che ti tormentano per ore con scherzi e giochi violenti, come darti calci negli stinchi e robe del genere. Per fortuna quel giorno non c’è.
La casa di Angela è un tugurio. Un sottotetto in una delle zone più degradate del centro storico torinese, in Via Barbaroux, ma per uno che è abituato a farsi in strada è come trovarsi in un albergo di lusso. Con trenta carte si fa una pera da schiattare. Come si ficca l’ago in vena e inietta il liquido, sente il calore portarsi via l’astinenza e avvolgerlo tutto, come una coperta di lana dopo un giro all’aperto a dieci gradi sotto zero. Sente le palpebre calare lentamente, una calma sensazione di rilassamento dei nervi, dei muscoli, del cervello e del corpo intero. Vede Angela alzare la gonna e annodare il laccio emostatico nella parte alta di una delle gambe. Vede la miriade di puntini rossi che le decora l’interno della coscia. Che peccato! Ha belle gambe. Come fa a martoriarsi così? Se lo domanda anche se conosce benissimo la risposta. È uno stratagemma per non mostrare i segni delle iniezioni e passare il più possibile inosservata. Infatti porta sempre gonne lunghissime, anche d’estate. Si rilassa anche lei. Prima di stendersi sul letto, accende il televisore. Lo fa sempre. Dev’essere un specie di riflesso condizionato o una sorta di rito legato alla roba. Il piccolo schermo si accende di scene concitate, di gente che si sposta e a volte corre intorno a tre macchine crivellate di proiettili, corpi in terra coperti da lenzuola bianche, macchie di sangue sull’asfalto. Decine di uomini in divisa fanno la spola tra una vettura e l’altra, si fermano a parlare formando capannelli, si inchinano a scrutare i corpi distesi al suolo. La voce dello speaker è incerta e quasi sgomenta. L’azione dei brigatisti è stata fulminea. Gli agenti della scorta non hanno avuto neanche il tempo di difendersi, tanto che uno solo di loro  è riuscito a scendere dalla macchina…
Vieni sul letto, starai più comodo. La donna si sposta da una parte, facendogli spazio. Lui si stende al suo fianco, percependo immediatamente l’odore che ha addosso. È intenso e un po’ dolciastro. Probabilmente quello di un profumo da quattro soldi, comprato su qualche bancarella del centro. Angela si gira su di un fianco, voltandosi verso la TV e lui si ritrova a scrutarne il sedere, la cui curva morbida si intuisce sotto la gonna spessa. Si fa più sotto, appoggiandosi al suo corpo e mettendole una mano sulla spalla.
Lei inclina lievemente la testa all’indietro.
Quant’è che non fai l’amore?
Un po’…
Bèh, sarà sempre meglio che qualche mese come me, con quella bestia di mio marito sempre in carcere. Ma non voglio farlo col primo che capita. Tu mi piaci e poi sei un bravo ragazzo…cerca solo di non raccontarlo troppo in giro. Sai, con tutta la gente che entra e esce di galera, le voci girano, e se venisse a saperlo lui, ci sarebbe poco da stare allegri…
Non preoccuparti, non sono proprio il tipo.
Già, a chi dovrebbe raccontarlo poi? Lui è un lupo solitario. È già contento di non essere da solo in quel momento. Angela con la sua roba, con il suo corpo, è un po’ il suo regalo di compleanno. Le alza la gonna senza più pensarci, senza pensare più a niente.
Fai piano… gli sussurra  la donna. Con dolcezza. Vuoi?