Vuoto

L’uomo camminava con passi decisi nelle strade ancora piene di gente; ogni tanto si soffermava per guardare quell’angolo di strada che gli appariva come un lontano ricordo ormai perso nel tempo. Eppure lui ci era nato in quei luoghi. Aveva vissuto tutta la sua infanzia tra quelle strade immense, che portavano con loro un enorme brulichio di gente a qualunque ora del giorno. Era come ritornare a casa; mancava dai quei posti da ormai 5 anni. Aveva deciso di tentare fortuna da un’altra parte e Dio sa se ci era riuscito. Ce l’aveva fatta. Era riuscito a guadagnare tanti di quei soldi che ora, se avesse voluto, avrebbe potuto comprarsi metà dei negozi che vedeva. Si sentiva tornato a casa ma aveva la sensazione che forse quella non era la sua casa dopotutto. Forse non avrebbe dovuto ritornare. Perché lo aveva fatto?    Le luci della strada principale continuavano a splendere nonostante già si abbassassero le prime saracinesche; si stava facendo sera ed un’altra giornata stava terminando. I negozianti prima di chiudere lanciavano un’ultima occhiata fuori in strada, come per assicurarsi che i clienti, per quel giorno, fossero davvero finiti. Dopodiché abbassavano con forza la grata ed il sipario cadeva sull’attività della giornata. Guardò l’orologio: le 19. E già chiudevano? Lui, era il primo ad aprire e l’ultimo a chiudere. Quando gli altri negozi chiudevano lui era ancora in piena attività. Poteva sembrare un sacrificio ma era riuscito a fare fortuna in questo modo. Provò una sorta di compatimento per quei negozianti: ‐ “Vanno a casa prima di me, questo sì, ma a fare che?” ‐. Gli venne da sorridere a quell’idea.   Camminando si trovò vicino alla chiesa. Era uguale, era sempre stata così. Molto probabilmente, pensava, era stata così sin dal primo giorno. Non avevano dovuto costruirla. Era già così. Per un attimo gli venne la tentazione di entrare per vedere se conosceva qualcuno. Sicuramente avrebbe trovato qualche faccia nota, ma poi lo avrebbero tempestato di domande, di richieste, di informazioni. No, meglio di no. E poi cosa doveva spartire ancora con loro? Non gli avevano riso in faccia quando aveva espresso il suo desiderio di partire per tentare la fortuna altrove? Provava una sorta di profondo risentimento verso di loro. Non avevano creduto in lui, nella sua determinazione e nelle sue potenzialità. E adesso avrebbero fatto ameno di lui. E anche il suo socio, anzi il suo ex‐socio. Non aveva mai tentato di coinvolgerlo nella sua avventura che stava intraprendendo. Gli mancava mordente a lui, non era adatto, non era un uomo d’azione e di rischio. Gli aveva solo comunicato la sua decisione una mattina di tanti anni prima. Se ne sarebbe andato e avrebbe lasciato tutto nelle sue mani; senza rancore, ma quella vita non faceva per lui. Lui che non si accontentava di nulla mentre l’altro si adagiava sui frutti di un piccolo guadagno o di una soddisfazione temporanea. Come poteva andare avanti così?   Passò oltre la chiesa e si strinse ancora di più nel suo cappotto; l’aria fredda della sera penetrava nel suo corpo come la lama di un assassino. Notte buia quella. Da lontano si sentiva l’eco di voci di bambini che correvano allegramente per la strada, mentre il rumore delle macchine sembrava cercasse di occultare le loro voci. Tornò a ripensare a lui. Chissà dov’era ora e cosa stava facendo? Chissà se aveva continuato la sua attività o aveva mollato? Questa ipotesi non lo avrebbe stupito più di tanto; alla prima difficoltà aveva sempre avuto la tentazione di mollare tutto. Era stato lui ad incitarlo a continuare e a scuoterlo. Quando gli chiedeva il permesso di tornare a casa con un po’ di anticipo, lo guardava con compatimento e gli rispondeva “vai pure”. Tanto la sua presenza lì era perfettamente inutile. Lui si occupava di tutto e non avrebbe mai permesso il contrario. Alle volte si domandava come fosse stato possibile per lui sopportarlo così tanto. Anni e anni insieme; mai una traccia di amicizia e mai un compito portato a termine con serietà. E l’altro se ne rendeva conto, eccome. Quella mattina lo aveva pregato di restare, di riflettere un attimo ma lui era stato irremovibile. Colpa sua. Se avesse messo un po’ più di serietà in quello che faceva non si sarebbe trovato così in difficoltà. Pagava il frutto delle sue azioni mentre lui aveva guadagnato i frutti delle sue azioni. Questa era la differenza.   Ad un tratto gli venne la curiosità di andare a vedere; non lui ma il negozio, il “suo” negozio. Era cambiato? Le insegne erano rimaste uguali? Mentre si dirigeva verso la sua nuova meta mille domande continuavano ad affacciarsi nella sua mente. Ancora pochi istanti e avrebbe saputo tutto. E lì vide il suo orrore.   Dove prima c’era l’elegante vetrina da lui tanto agognata era rimasto un enorme buco con pezzi di calcinacci che pendevano dal soffitto. Il muro era completamente rovinato e ricoperto da uno spesso strato di muffa. Tutto era buio. Si avvicinò incredulo; ma come diavolo aveva fatto, cosa era successo? Cercò di entrare ma fu bloccato dalla puzza che proveniva dall’interno. Sul pavimento c’erano bottiglie rotte, scatoloni e fogli di giornale vari. Sembrava un luogo dimenticato da Dio. E tutto questo in 5 anni, 5 anni! Si fece coraggio ed entrò e non riconobbe nulla di quello che era sempre stato. Il suo negozio, la sua prima vita. Si girò all’improvviso. Un uomo lo stava fissando. – “Cosa fa lì dentro? Non sa che è pericoloso? Ogni notte ci sono dei crolli e qualcuno si fa sempre male.” ‐ gli disse aspramente. Lo guardò senza rispondere; non riusciva a capire. Poi finalmente domandò: ‐ “Ma cosa è successo qui dentro?” ‐ L’uomo sospirò. –“Da quando il vecchio proprietario è morto, nessuno ha voluto più rilevare l’attività. Era un bel negozio sa? Ma purtroppo non riusciva a gestirlo da solo. Troppo stress e una notte il suo cuore non ce l’ha fatta. Faceva di quegli orari assurdi. La luce non si spegneva mai fino alle 10 di sera e alle volte anche oltre”‐. Rimase senza fiato. Non poteva essere. – “E’ successo tre anni fa” ‐ riprese – “una volta erano in due a gestirlo poi l’altro socio se n’era andato, non so perché, e lui era rimasto solo. Che disgrazie eh?” ‐ .
Guardò ancora un po’ attorno, gli raccomandò prudenza, lo salutò e se ne andò.   Lui uscì. Fissava ancora incredulo quell’abominio. Però non era colpa sua in fondo. Lui aveva cercato fortuna, ne aveva il diritto. Non era colpa sua, non poteva pensarlo. Ma guardando le rovine del suo vecchio negozio ebbe la sensazione che la cancrena che lo aveva divorato, e che aveva divorato l’altro che ora dormiva per sempre, avrebbe rovinato per sempre tutto quello che aveva costruito in 5 anni. E a quel pensiero, pianse amaramente.